Pubblichiamo l’editoriale del numero 0 di “Nuestra America, Rivista decoloniale di analisi socio-politica e culturale del Sud Globale” che è attualmente in stampa e sarà presentato a Cuba nel prossimo mese di Novembre. Promossa dal Capitolo Italiano della Rete di artsti e intellettuali in difesa dell’umanità, quest’iniziativa ha una precisa collocazione accademica e scientifica essendo collegata alla Scuola di Economia Antropologica Decoloniale fondata da Luciano Vasapollo, decano di Economia dell’Università La Sapienza, e l’intento dichiarato di contribuire alla Tricontinental del Pluripolarismo, in un momento storico caratterizzato da una crisi del modello unipolare e imperialisitico.

La direzione di FarodiRoma porge i propri auguri di successo a Nuestra America e al suo Comitato Editoriale, che è formato da Luciano Vasapollo, Rita Martufi, Luigi Rosati, Mirella Madafferi, Viviana Vasapollo.

Un’ alternativa che parte dal Sud globale. È questo il filo conduttore della vicenda storica di semi-distacco, di deoccidentalizzazione e decolonizzazione in risposta alla mondializzazione capitalista e imperialista, caratterizzata da un rapporto di dominanza tra blocchi egemoni e blocchi egemonizzati. A ben vedere, sono percorsi storici attraversati copiosamente da una teorizzazione risalente, come quella Questione meridionale gramsciana come problema della caratterizzazione del Mezzogiorno inteso come disgregazione sociale del Sud globale, del blocco dello sviluppo come processo indotto e del confinamento ai margini della storia delle masse popolari.
Le diverse iniziative tese a pensare, progettare e sperimentare l’idea di una società plurale e realizzabile in cui possano coesistere principi differenti di costruzione della realtà fanno parte di un processo di trasformazione della società gobale attraverso la critica e la prassi decoloniale. Oggi per tutti noi socialisti rivoluzionari si tratta di indicare chiaramente una delle basi teoriche più profonde del pensiero antimperialista e delle prospettive socialiste, con le declinazioni oggi in costruzione sulla economia decoloniale, la visione e la realtà del pluripolarismo nell’ampia dimensione teorica e di processi in divenire del pluriverso.
La Rivista Decoloniale « Tricontinentale del Pluripolarismo » situa il suo terreno d’intervento nel movimento del Multicentrismo contro l’ordine unipolare del mondo sotto l’egida occidentale, ordine fautore di guerre distruttive e senza fine, dell’ecocidio sistematico che con il riscaldamento climatico porta a rendere inabitabili alcune regioni del pianeta, de l’intensificazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della volontà d’annientamento dei popoli che ne rifiutano logiche e procedure mortifere.

Se la guerra è il suo sacramento e la sottomissione del Tutto-Vivente e dell’inanimato la sua legge, la comunicazione e l’informazione devianti ne sono oggi i vettori indispensabili per la perpetuazione dei suoi poteri. Da cui l’urgenza di questa Tricontinentale, che associa l’analisi decoloniale alla demistificazione delle grandi narrazioni giustificative del potere incontrtollato dell’Occidente con i suoi corollari disinformazionali, laddove il suprematismo di un solo gruppo umano struttura il suo dominio con la confiscazione della storia e la fabbrica del falso.
In questa competizione interimperialista, il capitale finanziario, che rappresenta la componente più forte del capitale transnazionale contemporaneo, segue una strategia contraddittoria rispetto agli Stati: in nome della “libertà economica” necessita per toglierli di mezzo ma, dall’altro, ne ha bisogno come interfaccia con società civili sempre più degradate e globalizzate, e per estrarre denaro e “pace sociale” dai lavoratori, occupati e non e per far ciò è indispensabile la guerra sociale, la guerra economico-monetaria e la guerra militare con il rafforzamento degli apparati industriali-militari anche a uso civile.

Il rapporto di reciprocità che esiste tra il modello produttivo dominante e la società dei subalterni pende ancora più chiaramente verso la destrutturazione globale considerando il rapporto tra scienza e militarismo. Il primo elemento di chiarezza al riguardo è il contributo quantitativo che la scienza riserva all’apparato produttivo militare e tecnologico mondiale: Nell’Unione Europea, ad esempio, il neoliberismo militarista più agguerrito è insito nella stessa legge fondamentale, il Trattato di Lisbona, che vieta l’adozione di misure contrarie alla circolazione dei capitali. Invece, nei discorsi ufficiali, l’”Europa sociale” riempie la bocca ad agenti che si muovono solo nell’interesse della compatibilità delle leggi di guerra del capitale.
In questa prospettiva, a partire dalle teorizzazioni sviluppate dalla nostra scuola di critica marxista per una economia antropologica a determinanti decoloniali, quindi antimperialiste per il pluripolarismo, nelle prospettive delle transizioni socialiste ( da ora direttamente e solo Economia decolonaile socialista) nel solco di un nuovo meridionalismo su basi marxiste, si pone centralmente la questione di un delinking, di un semi-distacco che riguardi anche l’Europa, superando ogni premessa eurocentrica e le tradizionali categorie storiche, politiche, economiche, culturali imposte dall’egemonia neoliberista e del postmodernismo, attraverso la costruzione di un’ALBA euro-afro-mediterranea.

La teorizzazione gramsciana sulla Questione meridionale, il portato della tradizione del terzomondismo e di Bandung e dei processi in atto di delinking innervano oggi la riflessione critica sul prodotto ultimato delle contraddizioni della UE. La rottura dell’Europolo si presenta, essenzialmente, come sganciamento da un sistema di dominazione, per i popoli europei come primo terreno fondamentale di emancipazione, in senso generale, in sintonia con un vasto fronte di popoli e Paesi, alternativo alla mondializzazione.
Il Multicentrismo, proposta strategica del comandante Hugo Chavez per un pianeta retto dall’equilibrio e la giustizia nelle relazioni internazionali, tra gli Stati e soprattutto tra i popoli, è un processo in corso da diverso tempo. Ma ha conosciuto un’accelerazione straordinaria a partire dal 21 febbraio 2022, quando è scoppiata la guerra nell’Europa dell’Est. Guerra che, nell’era della post-verità, è stata etichettata come « aggressione della Russia », mentre è in realtà una guerra della NATO contro Mosca.

Ora, subito dopo l’inizio delle ostilità, un fatto nuovo ha posto le premesse di un cambiamento epocale, suscettibile di modificare i rapporti di forza esistenti sullo scacchiere internazionale e di disegnare i contorni di un mondo nuovo e libero dal dominio dell’asse euro-atlantico unipolare.
In effetti, fu una sorpresa totale per molti quando, a marzo 2022, all’occasione del voto di condanna dell’« offensiva russa » in Ucraina, la maggior parte dei paesi del Sud si astenne. Il Sud Globale si è pronunciato « contro di noi » ?, si chiesero gli editorialisti dei media mainstream in Occidente. Ai quali sembrava un’evidenza che, dal 1945, l’ammirazione fosse un sentimento generale da parte di questi paesi nei confronti dell’Occidente, della sua cultura, delle sue ricchezze e del suo modo di vita, anche se questo sentimento era accompagnato da una sorta di recriminazione… Ora, improvvisamente, l’ammirazione si era trasformata in rigetto. Un rifiuto che apparve, in Occidente, come una forma di odio. E fece paura.

Qualche settimana più tardi, in Sudafrica, una riunione dei paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) metteva all’ordine del giorno il processo di dedollarizzazione per disfarsi dell’egemonia della moneta americana : una messa in discussione radicale dell’« ordine transatlantico », da attuarsi con la fine del comando planetario dell’equivalente universale dello scambio dettato da Washington.
Una mutazione dei rapporti di forza è certamente in corso. E i suoi segnali sono lampanti. Tra le pietre miliari di questo cambiamento, la perdita, da parte della Francia, di tre componenti essenziali (Mali, Burkina-Faso e Niger) del suo impero neo-coloniale africano è il segno di un processo irreversible in corso.
L’erosione crescente dell’asse di dominazione dell’Atlantico-Nord è ormai una realtà in fieri. Senza la quale, l’insurrezione armata palestinese del 7 ottobre 2023 non avrebbe potuto aver luogo. E neppure la resistenza armata del Movimento del 23 Marzo (M23) nell’Est della repubblica democratica del Congo (RDC), in guerra contro le politiche tribaliste e razziste del governo di Kinshsasa, che mobilita milizie etniche e mercenari per sterminare alcune delle sue popolazioni (Tutsi, Hema, Banyamulenge, Téké).

L’evoluzione in corso, con i suoi imprevedibili sviluppi, non è limitata alla crisi di un ordine stabilito alla fine della Seconda Guerra Mondiale e che si è rafforzato con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Se abbiamo alluso a un « cambiamento epocale » è perché ci troviamo di fronte alla possibilità di invertire il corso di una Storia cha ha ormai più di 5 secoli di vita, un ciclo che si è aperto nel 1492, la cui scena inaugurale si presenta con la Conquista delle Americhe e la Tratta Transatlantica.
Al cui avvento, fondatore del capitalismo come modo di produzione universale e della modernità occidentale come sistema di valori planetario, l’appropriazione delle terre e la sottomissione dei popoli che vi abitavano fu supportata, e lo è ancora, da una vasta operazione culturale ed epistemica di inferiorizzazione del mondo meridionale oggetto della Conquista e della Tratta.
Alla decolonizzazione dell’America del Sud e dell’Africa, gli effetti di questa operazione -che è un’operazione terrible di violenza mentale- non si sono dissolti, in alcuni casi si sono addirittura estesi.
Di fronte a questa realtà, è sorta negli anni ’90 in America del Sud uan corrente di pensiero e di lotte, la Decolonialità.

Essa prevede la restituzione dei saperi, delle storie, delle forme societali, delle credenze, delle culture e delle istituzioni delle popolazioni che, pur avendo acquisito un’indipendenza formale, restano avvinte al dispotismo dei valori imposti dall’Occidente, di cui il profitto (con l’ambizione spropositata di beni materiali superflui) e il razzismo, emblema e viatico quest’ultimo, dell’inferiorizzazione dei popoli oppressi, sono le leve principali.
Su questa realtà concreta poggia la prospettiva dell’unità del Sud, ad iniziare da quello europeo, per un’ALBA euro-afro-mediterranea che, oltre a fermare il suo processo di “mezzogiornificazione” del Sud Europa, si proponga di archiviare la polarizzazione mondiale, in primo luogo, per l’affermazione di un contesto mondiale multicentrico.
Nelle lungimiranti riflessioni gramsciane, ritroviamo tratti di estrema attualità nella tendenza attuale che è stata definita “mezzogiornificazione” di una vasta area mediterranea, quella dei PIGS fondamentalmente, attraverso il processo di integrazione economica e monetaria europea della “Fortezza Europa”. Questo status di blocco guerrafondaio indotto, perpetrato attraverso l’ordoliberismo, che impregna i Trattati fondamentali della UE, alimenta un sistema di dominazione neocoloniale tra Paesi del Centro-Nord Europa e area mediterranea. Una realtà che collega il Vecchio Continente a dinamiche tanto attuali quanto risalenti a decenni passati, con le specificità proprie del contesto europeo (ad es. compressione strutturale della sovranità degli Stati, squilibri commerciali, deflazione salariale).

Noi siamo consapevoli che il mondo plurale in gestazione con il processo del Multicentrismo è necessariamente in relazione con il Movimento decoloniale. La loro associazione è il sine qua non del loro avanzare e della loro riuscita.
Un riferimento che riesce ad andare oltre la particolarità e la contingenza per affermarsi come fondamento di tutte le rivoluzioni antimperialiste che hanno la capacità e la forza di proporre saperi critici della cultura dei popoli nelle cosmovisioni indigene, inserendole, come ci ha insegnato Mariátegui, in un progetto di integrazione internazionale che è alla base della transizione rivoluzionaria.
« L’idea di un universo plurale di alternative al capitalismo è qualcosa di relativamente recente, la cui presenza resta ancora marginale nel dibattito politico, nonostante sia il risultato naturale dell’affermazione dei recenti movimenti antisistemici, delle lotte per il superamento dell’eredità coloniale e del patriarcato, della rielaborazione del pensiero marxista, di quello socialista e di quello libertario. Negli ultimi decenni, in particolare, la critica allo sviluppo si è rivelata l’ambito principale in cui si è potuto pensare un’alternativa ai grandi progetti sociali della modernità, incluse le grandi esperienze di gestione collettivista dell’economia…. Il progetto di Pluriverso nasce quindi in un momento cruciale della storia del capitalismo, ma anche dei suoi movimenti di opposizione. Rispetto a ciò, la sua traduzione italiana esce tuttavia in una fase molto distinta rispetto a quella della prima edizione del testo, nonostante sia passato solo un anno. Il pianeta affronta una crisi sanitaria globale, ennesima dimostrazione tangibile della contraddizione ecologica in cui si muove lo sviluppo capitalistico; al contempo accelera il processo di crisi economica intorno a cui ruoterà la politica globale nei prossimi anni. La differenza però non coinvolge solo la particolare condizione in cui versa il capitalismo globale, ma è anche definita dalle novità interne al pensiero critico.” (Il tempo di Pluriverso di ORTHOTES, edit.2021).

Per riassumere: la Decolonialità è la critica radicale de la modernità occidentale (avvento del capitalismo) sorta dalla violenza del 1492. In quanto tale, la Decolonialità mette in crisi il sistema di dominazione planetario eretto in seguito a questo avvenimento. Cioè la direzione unipolare del mondo da parte dell’asse euro-atlantico, direzione alla quale oggi si oppongono le dinamiche del Multicentrismo.
Ricordiamo anche che Walter D. Mignolo, semiologo argentino e figura della Decolonialità, diceva : Poiché la colonialità è ovunque, la decolonialità è inevitabile. Cio’ che rinvia à una implicazione potenziale della popolazioni occidentali, almeno quelle situate sulle due rive del Mediterraneo, nel progetto di un mondo pluricentrico. E che si manifesta nella progressione dell’ecologia radicale in alcuni paesi europei.
Ciò che Marx non poteva certo prevedere era una dinamica rivoluzionaria che mettesse in discussione il primato e il predominio dell’Occidente, ma con un processo di transizione lungo, tortuoso e aperto. L’intuizione fondamentale che, tuttavia, emerge prepotentemente dalla sua analisi è la carica rivoluzionaria contenuta nelle società del suo tempo collocate in una condizione di sfruttamento coloniale e la prospettiva universale del mercato internazionale e le contraddizioni capitaliste che alberga.

La Rivista Decoloniale «Tricontinentale del Pluripolarismo» del Sud Globale si propone di svolgere la sua funzione e di lavorare in questo spazio di pensiero e d’azione. In quanto Rivista, essa assume il capitolo della demistificazione della comunicazione deviante (destrutturazione della fabbrica del falso) come una delle sue finalità.
José Marti, Amilcar Cabral e Antonio Gramsci hanno tutti messo la cultura al primo posto della lotta di liberazione.

Oggi diversi tra i Paesi ex coloniali animano in relazione alle impostazioni e politiche internazionali della Cina la prospettiva del multicentrismo e, alcuni fra questi, perseguono anche quella della transizione economico-politico e di tipo socialista. Il contributo teorico e di riflessione proveniente dalla Cina popolare e dall’Asia coniuga un’originale prospettiva di universalizzazione non euro-atlantica dei rapporti internazionali, sul rapporto Stato-mercato e ruolo strategico della soggettività per la transizione.

In conclusione, bisogna sempre analizzare con la chiave dell’economia decoloniale socialista, partendo dalla ricerca propositiva di modelli alternativi sociali, economici, produttivi e ambientali di sostenibilità, complementarietà, contro gli apparati e industrie della guerra. Sulla falsa riga di questo proposito, sarà sostenuta la necessità della costruzione di un diverso modello pluripolare , multicentrico e di transizione anticapitalista di relazioni tra Paesi e popoli, partendo dalle transizioni al socialismo di Cuba, Venezuela, Cina, Vietnam, ecc. accompagnate da un diverso modello produttivo e sociale, reso urgente e imprescindibile dalle contraddizioni acute del presente.

L’analisi si dovrà ancora sviluppare seguendo sempre la linea tracciata dalla visione della reale vigenza dei percorsi teorici e di realizzazione pratica attraverso il metodo del materialismo storico e nella e per la egemonia culturale dei subalterni, come prospettiva internazionalista e attraverso l’interpretazione pluripolare, e in particolare nella declinazione gramsciana. Molto importante sarebbe giungere a una ridefinizione e riqualificazione nella pratica dei movimenti sindacali e politici dei termini teorici e attuativi della filosofia della prassi e la individuazione con le potenzialità di azione delle nuove soggettualità degli operai, dei contadini, degli impiegati, dei commercianti, dei piccoli imprenditori e quindi dei nuovi soggetti del lavoro e del lavoro negato, del non lavoro, con l’idea del governo politico ed economico in una nuova prospettiva di potenziale realizzazione di modelli di transizione post-capitalista, e in tendenza di rottura socialista rivoluzionaria.
Dobbiamo ricominciare a ragionare sulle fasi storiche della politica di trasformazione, sui cicli rivoluzionari come ha fatto Cuba modificando spesso i suoi modi di vivere la pianificazione e la transizione socialista. Bisogna mettere in relazione la strategia del cambiamento con dei passaggi tattici.
Non ci si può opporre senza partito con una capacità rivoluzionaria.

Idea fondamentale anche per tutti quei giovani occidentali che vogliono mettere in discussione lo stato presente delle cose. Per questo devono rivolgere lo sguardo al pensiero di Marti , Bolívar, di Lenin, di Gramsci, di Mao, di Guevara , Fidel Castro e di Chavez al fine di studiare concretamente dei percorsi di emancipazione.
L’asse portante della nostra ricerca-inchiesta marxista in itinere sarà quello di proporre temi di ricerca e casi studio locali, settoriali e di sistema paese come, per esempio, la trattazione critica, e dell’oggi, della validità nell’attualizzazione dei temi forti gramsciani e delle teorie anticolonialiste del delinking, nella declinazione della questione delle alleanze per l’egemonia e la sua composizione e prospettiva politico-sociale per il superamento della fase attuale della globalizzazione neoliberista, ponendosi nella transizione dall’unipolarismo al multicentrismo nelle relazioni internazionali, partendo da casi studio di realtà dei sud del mondo. Divenire storico ed egemonia culturale dei Sud nel mondo contemporaneo: si tratta cioè di declinare una attualizzazione di contesti localizzativi anche di categorie di un pensiero -azione per una filosofia della prassi, provenienti dagli studi e pratiche di grandi rivoluzionari di riferimento come Marti, Bolivar, Lenin, Stalin, Gramsci, Mariatequi, Mao, Guevara, Fidel, Chavez, sia attraverso i contributi di studiosi europei e dell’America Latina e che spaziano anche su altre aree dei sud del mondo di oggi, in particolare dell’Africa e del vicino Oriente.
E allora teoria e prassi , filosofia della storia e filosofia della prassi con cui bisogna riportare questo pensiero e agire nelle mille difficoltà della rivoluzione socialista cubana , a quello che oggi sta avvenendo per esempio a Cuba, in Venezuela, Cina, Vietnam che con le loro differenze sono comunque vive transizioni al Socialismo che camminano in una diversa modalità applicativa e con culture diverse da quella di noi comunisti occidentali, ma alle quali siamo uniti nella speranza di poter trasformare non solo il nostro Paese ma di costruire una nuova umanità ricca di forza di rottura e amore rivoluzionario.

Il Comitato Editoriale (Luciano Vasapollo, Rita Martufi, Luigi Rosati, Mirella Madafferi, Viviana Vasapollo)

Contro le misure economiche del governo Draghi Contro licenziamenti, privatizzazioni, delocalizzazioni e carovita.

Cortei regionali nelle principali città: la libertà di manifestare è un diritto democratico non negoziabile

La desaparición del socialismo real y su tránsito a la economía de mercado han obligado a una transformación profunda en el sistema de referencias, incluso en países socialistas como Cuba y Venezuela donde se dan formas de acomodamiento económico interno que inciden sobre aspectos importantes del modelo económico aplicado y sobre el marxismo. Pero es en los países capitalistas, sobre todo en los llamados avanzados, donde se cierra con violencia el debate con el pensamiento marxista, postulando el capitalismo como única verdad para la humanidad. Esto se verifica en la academia, en la docencia y –particularmente– en los programas de estudio de economía. Hasta los años setenta fue tangible la presencia de materias críticas del pensamiento dominante y de una diversidad de textos de autores marxistas, en los que predominaba un enfoque global de la economía como ciencia social.
Escribir hoy de marxismo sería un mero ejercicio teórico si no fuésemos capaces de “actualizar” las categorías marxistas para comprender el capitalismo contemporáneo. Si es cierto que uno de los más grandes legados del revolucionario de Tréveris es el de su metodología –a través de la cual es posible leer e interpretar las tendencias de la economía capitalista para poder luego actuar para transformarla y superarla (mediante el socialismo)–, entonces ningún marxista debería preocuparse por que Marx no lo haya “dicho todo”.
Sin embargo, lo que se oficializó fue un marxismo ortodoxo y en una dimensión propagandística burocrática que llevó a su dogmatización, al punto de etiquetar como antimarxistas y de excluir de la “corriente principal” a pensadores como Gramsci, Lukács, Althusser, Che Guevara y otros que no quisieron renunciar a su propia originalidad. El dogmatismo condujo a diversas interpretaciones extremas del marxismo, a un cierto teoricismo y a la pérdida de contacto con la realidad, tanto del mundo socialista como del capitalista;
en esas circunstancias, el marxismo genuino, innovador y contextual, no pudo concentrarse y denunciar eficaz y oportunamente las contradicciones del socialismo real, que lo llevaron más tarde al colapso.
Lenin pensaba que la transición del capitalismo a un régimen “superior” podía realizarse en un solo país y que, bajo determinadas circunstancias aparentemente desfavorables, tal vez ello ocurra en los considerados eslabones más débiles del sistema y no donde el capitalismo hubiese agotado sus posibilidades de desarrollo, como previeron Marx y Engels. Esta idea agrega mayor complejidad a toda transición, no solo en relación con su rumbo sino con las condiciones de vínculos orgánicos con los movimientos impulsores de los procesos de transformación.
No debe olvidarse la tesis de Guevara que plantea que muchos países “subdesarrollados”, incluso con gobiernos democráticos y progresistas, son aliados del capital financiero internacional, constituyendo –en los hechos– polos semi-periféricos de expansión del capital. Contra la ortodoxia y la superficialidad, que con frecuencia han contaminado a muchos intelectuales, y contra la utilización impropia, mística e interesada de Marx y su obra, hoy se recupera la lección del “maestro de la crítica de la economía política” con
seriedad y aspiraciones de conducir una profunda crítica contra las nuevas formas que asume el capital. En ese intento aparecen temas considerados centrales en la actual dinámica del capitalismo.

Sabato 20.11 (ore 11 / 18) e domenica 21.11 (ore 10 / 13)
presso il Cinema Nosadella, Via L. berti 2/7 Bologna

Forum nazionale della Rete dei Comunisti sulle prospettive della UE

Introduzione di Mauro Casadio (Rete dei Comunisti), relazioni di Giacomo Marchetti, Marcella Grasso, Giovanni Russo Spena, Luciano Vasapollo, Franco Russo, Francesco Piccioni, Cinzia della Porta, Sergio Cararo

Il declino degli USA, l’avvio della ristrutturazione dell’industria continentale e l’esercito europeo sono la condizione per un salto di qualità del ruolo internazionale della UE.

Nella relazione sullo stato dell’Unione fatta dalla Von Der Leyen un’affermazione perentoria è risaltata più di tutte le altre ed è quella che testualmente dice “Stiamo entrando in una nuova era caratterizzata dall’ipercompetitività”. Tale evidenziazione ha come presupposto molti elementi che erano presenti già nei precedenti anni ma che ormai, per quanto riguarda la UE, hanno la necessità oggettiva di una sintesi politica, istituzionale e militare.

Questa necessità ha cominciato a concretizzarsi con la vicenda pandemica che ha evidenziato come le relazioni interne alla UE andassero modificate nel senso di una più stretta centralizzazione decisionale ed operativa.

Il Recovery Fund è esattamente la concretizzazione di questa necessità relativa in primo luogo alla tenuta competitiva economica e finanziaria internazionale.

Questo infatti indirizza le imprese europee, in particolare i cosiddetti “campioni” ovvero le multinazionali continentali, verso una ristrutturazione di alto livello tecnologico e pseudo ambientale per tenere testa alla competizione con la Cina ma anche con gli USA oggi in evidente difficoltà.

Non solo, ma la dimensione dei Bond Europei integrati con quelli emessi dal Next Generation EU danno la possibilità alla UE di essere competitiva con l’Euro anche sul piano delle monete di riserva mondiale erodendo, assieme allo Yuan cinese, la rendita di posizione del dollaro che va avanti dalla fine della seconda guerra mondiale con gli accordi di Bretton Woods.

Ma il fatto principale che obbliga gli eurocrati e le forze economiche e finanziare della UE a procedere speditamente sul piano dell’integrazione è la crisi di egemonia degli USA che ormai è palese a tutto il mondo. La fuga dall’Afghanistan, averlo fatto senza “avvisare” gli alleati della NATO e, per ultimo, l’accordo strategico Auskus fatto con Inghilterra ed Australia in funzione anticinese dimostra il fallimento totale della strategia USA nata dopo il crollo dell’URSS.

L’abbandono del continente asiatico, il debole e difensivo tentativo di ricostituire un’alleanza “pelagica” senza i paesi UE e l’affronto fatto alla Francia sui sottomarini venduti all’Australia obbliga l’Unione Europea ad un rilancio del proprio ruolo che non può che essere strategico. Prendendo innanzitutto atto del ridimensionamento degli USA come forza unipolare mondiale e dell’avvio di una inedita fase multipolare dove ogni soggetto statuale è solo nella ipercompetizione suddetta.

La discontinuità che si è creata con la fase unipolare ad egemonia USA porta inevitabilmente alla formazione di un esercito europeo che è già presente nei progetti e nelle dichiarazioni pubbliche del governo della Unione Europea.

Un tale livello di concorrenza mondiale implica per la UE la necessità della centralizzazione decisionale e del ricompattamento interno al proprio ambito comunitario ma rivolto anche alla sua prima periferia esterna, Africa del Nord, Occidentale e Medio Oriente, che porta immediatamente alla necessità di una vera e propria ristrutturazione sia di carattere produttivo che sociale.

Per il nostro paese il parallelo non può che essere fatto con la ristrutturazione industriale avuta negli anni ’80 che ha puntato scientificamente alla distruzione di quella classe operaia che negli anni ’70 era l’avanguardia delle lotte nella società italiana rimettendo in discussione la redistribuzione della ricchezza nazionale fino ad allora tutta a vantaggio delle classi dominanti.

Questo riferimento ci può dare la dimensione di quello che sta maturando e come sotto la retorica ambientalista, delle energie alternative, della modernità prodotta dalla civiltà europea si prospetti un periodo di profonda modifica della produzione, dei servizi pubblici, della condizione sociale fatta di lacrime e sangue tutte versate naturalmente dalle classi subalterne a cominciare dai cosiddetti ceti medi oggi in evidente crisi verticale.

Come è altrettanto evidente che il processo di centralizzazione generalizzato penalizzerà la democrazia nei singoli paesi come sta dimostrando il decisionismo di Draghi ben più aggressivo e pericoloso di quello avuto da Craxi negli anni ’80.

In prospettiva il ridimensionamento dell’apparato industriale, i licenziamenti, la precarizzazione, il piegare le risorse pubbliche a vantaggio delle imprese, la consunzione dei residui spazi democratici saranno i caratteri di una lunga fase che vedrà un peggioramento complessivo delle società europee e questo in un contesto internazionale dove la competizione economica potrà tracimare in scontro politico e militare con schieramenti ad oggi imprevedibili.

EFFETTI SOCIALI DELLA RISTRUTTURAZIONE

Come Rete dei Comunisti dagli anni ’90 abbiamo individuato questa tendenza storica e l’abbiamo descritta come costruzione di un “Polo Imperialista Europeo” in una divisione del mondo post sovietico che vedeva la nascita di aree economico-monetarie competitive sia attorno agli USA, prima con il NAFTA e poi con il tentativo fallito dell’ALCA per l’America Latina, che attorno al Giappone ravvedendo in quella tendenza i pericoli di una ripresa di un conflitto mondiale. Già dall’epoca abbiamo affermato che il dovere degli antimperialisti e dei comunisti era di lottare contro il proprio imperialismo che per noi significava appunto contrastare e rompere la UE che si andava formando.

Da quel decennio sono cambiate molte cose, c’è stata l’emersione della Cina come potenza economica mondiale, il moltiplicarsi di forze regionali quali l’Iran, la Russia e la Turchia, la fine delle velleità imperialiste del Giappone ed ora anche la crisi egemonica degli USA. L’unico progetto organico che è andato avanti grazie proprio alle molteplici crisi, che hanno fatto da volano per il progetto d’integrazione, è stato quello della costruzione dell’Unione Europea. Questa oggi si avvia a superare la condizione di “Area/Polo economico finanziario” e diventare un superstato imperialista che compete sull’agone mondiale come le altre potenze.

In questa paradossale discontinuità internazionale e continuità della UE ci sembra indispensabile riconfermare l’obiettivo della rottura dell’Unione Europea, della fuoriuscita dell’Italia dalla UE e dalla NATO, della costruzione di un’area alternativa che ravvisiamo in quella che abbiamo definito Alba Euromediterranea.

PROPOSTA POLITICA

Sappiamo bene che questo non è un obiettivo all’ordine del giorno ma sappiamo bene che i prossimi anni, la prossima fase storica, sarà caratterizzata dall’incremento dei conflitti, da quello di classe all’interno della UE a quello internazionale certamente politico se non militare direttamente.

Dunque dare una direttiva di marcia, indicare chiaramente qual è il nemico, non lasciare disarmati politicamente e ideologicamente i conflitti prossimi venturi è un impegno che deve partire dal presente momento di crisi del nostro avversario di classe pena l’affermazione di movimenti reazionari di cui ce se ne accorge sempre troppo tardi nonostante che da anni si gridi “al lupo al lupo” spesso verso la direzione sbagliata.

Domenica 14 novembre si sono svolte in Argentina le elezioni per il rinnovo della metà dei deputati (127 dei 254 totali) su tutto il territorio nazionale, e di un terzo dei senatori (24 dei 72 complessivi) in otto provincie.

Si è trattato di un test importante sia per l’attuale governo guidato dal presidente Alberto Fernández, a due anni dal suo insediamento alla Casa Rosada, che per il quadro generale dell’America Latina, attraversata in questo mese di novembre da numerosi appuntamenti elettorali.

Dopo le elezioni in Nicaragua della scorsa settimana e in vista delle elezioni presidenziali e legislative in Cile, di quelle municipali e regionali in Venezuela e delle elezioni generali in Honduras a fine mese, l’Argentina è tornata alle urne dopo le elezioni primarie (PASO) dello scorso settembre.

Con lo scrutinio arrivato al 98,94%, la coalizione di centro-destra Juntos por el Cambio dell’ex presidente Mauricio Macri ha ottenuto il 41,89% dei voti alla Camera dei Deputati, contro il 33,03% dei voti ottenuti dal Frente de Todos (FdT).

Al Senato, con lo scrutinio del 99,14% delle schede elettorali, Juntos por el Cambio (JxC) stacca nettamente il partito di Alberto Fernández e Cristina Kirchner con il 46,85% delle preferenze contro il 27,54%.

Un vantaggio ancor più marcato viene registrato, in particolare, nella capitale federale dove la candidata del JxC, María Eugenia Vidal, ha raggiunto il 47% con oltre 20 punti percentuali di vantaggio sul suo avversario politico Leandro Santoro.

Anche se a livello nazionale Juntos por el Cambio celebra la propria vittoria sul FdT con una differenza di più di due milioni di voti, la realtà è che il partito di governo mantiene ancora il maggior numero di membri tra le due camere (119 deputati e 35 senatori). Tuttavia, si è assottigliato il margine nei confronti di JxC che, a partire dal 10 dicembre, conterà 116 deputati e 31 senatori.

Con questo risultato, la vicepresidente Cristina Kirchner sarà a capo del Senato in una situazione senza precedenti dal ritorno della democrazia nel 1983: il peronismo non avrà la sua maggioranza nella Camera Alta e sarà costretto a cercare dei ponti di negoziazione con i partiti provinciali che siedono al Congresso o “mediazioni” con l’opposizione per portare avanti i suoi progetti di legge.

Il possibile impasse legislativo per FdT con una risicata maggioranza al Congreso e i numeri mancanti per avere una maggioranza propria al Senado potrebbe avvantaggiare quindi la destra neo-liberista in vista delle future elezioni presidenziali del 2023, soprattutto se l’attuale esecutivo ai con numeri più risicati in Parlamento – non riuscirà a rispondere ad i bisogni di una popolazione impoverita (4 su dieci vivono al di sotto della soglia di povertà) e di una economia in grave difficoltà, tra calo del PIL, impoverimento del Peso e inflazione galoppante.

Il presidente Alberto Fernández, in un discorso in cui ha fatto un breve bilancio della sua amministrazione, ha rilanciato il suo piano di governo per il paese che “si sta rimettendo in piedi e sta andando avanti” sul percorso della ripresa economica.

Inoltre, ha fatto appello alla responsabilità dell’opposizione, nel quadro delle difficoltà della fase post-pandemica, perché “questa elezione segna la fine di un periodo molto difficile nel nostro paese, un periodo che è stato segnato da due crisi: quella economica ereditata dal governo precedente, e di cui ci sono ancora enormi sfide da risolvere; l’altra, la crisi sanitaria, causata da una crudele pandemia che stiamo gradualmente superando”.

Il presidente ha ricordato che il debito con il FMI “il più grande danno” lasciato dal governo dell’ex presidente Macri, un “ostacolo” da affrontare per continuare il suo progetto progressista.

Nella prima settimana di dicembre, il presidente invierà al Congresso Nazionale un disegno di legge che rende esplicito il “Programma economico pluriennale per lo sviluppo sostenibile”, nel quale saranno esplicitate “le migliori intese che il nostro governo ha raggiunto con il FMI senza rinunciare ai principi di crescita economica e inclusione sociale”.

Infine, ha garantito che il prossimo futuro sarà incentrato su “la ripresa economica, il rafforzamento del reddito, la riduzione dell’inflazione e la creazione di posti di lavoro, il tutto nel quadro di un dialogo costruttivo”.

Si apre, quindi, per il governo di Alberto Fernández una situazione delicata in cui, da una parte, la destra liberista potrebbe far leva sull’indebolimento del FdT al Congresso per screditare l’azione di governo o fare ostruzionismo sui progetti più progressisti in vista delle elezioni presidenziali del 2023; dall’altra, le pressioni esterne da parte dei creditori e delle istituzioni finanziarie internazionali (FMI su tutte) rischierebbero di stringere ulteriormente il cappio intorno al collo del popolo argentino.

E non è affatto detto che i toni conciliatori fatti propri dal Presidente siano fatti propri da tutta la compagine del FdT, in particolare tra coloro che intendono riprendere l’eredità politica “Kirchneriana” – come l’attuale vice-presidente – o inducano la destra ad un atteggiamento più collaborativo. In questo quadro pensiamo possa ridiventare centrale il ruolo di pressione delle forze popolari e progressiste nei confronti della possibile moderazione dell’esecutivo.

Le forze imperialiste, coordinate a e da Washington, hanno tutto l’interesse a rimettere le mani sull’Argentina e restaurare l’ordine neoliberista di distruzione e regressione sociale di cui l’ex presidente Mauricio Macri è stato un fedele ed umile servitore.

Il ritorno al governo delle forze progressiste con la coalizione del Frente de Todos aveva marcato una rottura profonda nell’agenda politica, economica e sociale di un paese martoriato dal ricatto del debito esterno e dall’attacco ai settori popolari sui quali ricadono le conseguenze negative dell’inflazione galoppante, della disoccupazione crescente e dell’impoverimento dilagante.

Ma è chiaro che le aspettative suscitate dal cambio presidenziale non si sono tradotte nella percezione di ampie fasce di subalterni in risultati reali nelle proprie condizioni di vita.

La tenuta del governo Fernández si inserisce in quel cammino tortuoso e per niente lineare che accomuna le esperienze progressiste e socialiste in America Latina, un percorso di emancipazione sociale che la destra neoliberista vuole interrompere, annichilendo le rivendicazioni e gli interessi dei settori di classe in favore dei profitti di una borghesia compradora subordinata al capitale finanziario internazionale.

Come ha affermato il presidente Fernández: “il popolo argentino ha bisogno di un orizzonte; abbiamo il diritto di sperare”.

Per noi, questa speranza non può che venire da quell’anello debole dell’imperialismo e dal nostro impegno politico per trasformare la solidarietà ed i processi di emancipazione dell’America Latina in uno degli assi principali del nostro agire, perché è da questo continente che parte una speranza per tutta l’umanità.

Il primo segretario del Comitato Centrale del Partito e presidente della Repubblica di Cuba è apparso lo scorso venerdì alla televisione nazionale per parlare al popolo cubano della nuova normalità e di altre questioni attuali. Questa è la sintesi della trascrizione dell’intervento da parte di “Cubadebate” che l’ha trasmesso attraverso i suoi vari canali.

Con un popolo come questo non c’è resa possibile

Vengono comunicati vari criteri in relazione a questioni legate al fatto che il paese sta entrando nella nuova normalità. Questi temi e le interrelazioni tra loro, e il consenso che si sta costruendo intorno a questa situazione, sono stati annunciati dal leader cubano come il fulcro della sua apparizione di venerdì sera.

Abbiamo vissuto due anni di chiusure e restrizioni in cui abbiamo affrontato situazioni e momenti molto difficili e abbiamo anche dovuto piangere perdite dolorose, ma ci stiamo rimettendo in piedi. Ci troviamo in un momento in cui stiamo controllando la pandemia e questo sta aprendo delle prospettive su come il paese può riprendere il suo corso, il suo ritmo e la sua stabilità”, ha iniziato il suo discorso Díaz-Canel.

Ha ricordato che all’inizio della lotta contro la pandemia, “abbiamo detto che questa sarebbe stata una corsa di fondo. In quei momenti, abbiamo descritto nel dettaglio una serie di situazioni che abbiamo previsto si sarebbero verificate. Era anche una gara di resistenza. Se fossimo stati un popolo debole, ci saremmo arresi. Ma a Cuba non c’è spazio per la resa. Con un popolo come questo non c’è resa possibile.

È grazie a questo spirito, allo sforzo e all’impegno comune che oggi possiamo parlare di risultati, che oggi possiamo fare una pausa per fare un bilancio, per dare omaggi e riconoscimenti”, ha affermato.

Parlando di omaggi, ha sottolineato che, prima di tutto, dovrebbero essere resi “agli oltre 8.270 compatrioti la cui vita è stata presa dalla pandemia. Esprimo le nostre condoglianze ai familiari e agli amici. Tutti abbiamo perso almeno una persona cara in questa guerra, ma ci siamo alzati e abbiamo lavorato tutti insieme per fare in modo che nessun altro morisse e, soprattutto, che il numero di morti fosse ridotto al minimo.

Dobbiamo anche rendere omaggio a coloro che sono morti facendo ricerca e fornendo assistenza medica nelle trincee. È a loro che dedichiamo il trionfo della scienza e della salute su questo nemico sconosciuto che ha già fatto più di cinque milioni di vittime in tutto il mondo.

Cuba merita un festeggiamento adeguato alla nuova normalità, ma degno dello sforzo, della disciplina, della partecipazione e del contributo dell’immensa maggioranza del nostro popolo perché si potesse arrivare a questo momento.

Tutto ciò che abbiamo affrontato ha avuto, come elemento aggiuntivo di grande durezza, la politica crudele e criminale dell’imperialismo statunitense contro Cuba, che ha cercato di approfittare di questo momento di incertezza per stringere tutte le viti del blocco, diffamare e calunniare”, ha denunciato il presidente cubano.

Hanno voluto presentarci come uno Stato fallito, come un governo che non poteva superare questa situazione insieme al suo popolo”, ha aggiunto.

Tuttavia – ha continuato –, come diceva José Martí, “non c’è prua che possa tagliare una nuvola di idee”.

È difendendo queste idee che il nostro popolo ha prevalso e si sta aprendo la speranza, la luce e le strade per andare avanti”, ha sottolineato.

Ha aggiunto che “dobbiamo avere la convinzione che non si ricevono premi per sfidare un impero. Al contrario. In questa sfida costante contro l’impero che vuol farci sparire come nazione e come Rivoluzione, riceviamo campagne e minacce, divieti e punizioni, e in queste condizioni abbiamo ricevuto ancora di più: un blocco totalmente inasprito.”

Indipendentemente dal fatto che il blocco persista, siamo obbligati a superarlo con le nostre proprie forze, gli sforzi e il talento che esiste nel popolo. Nessuno di noi ne sa più di tutti noi messi insieme. Con le nostre forze possiamo fare conquiste e alleviare molte delle difficoltà causate dal blocco.

Questo è il modo di difendere la patria, ciò che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità. Non è un’eredità materiale o di ricchezza ma, soprattutto, di impegno. Un’eredità che ci spinge, insieme, a scalare le montagne. In questi momenti stiamo raggiungendo una delle cime di quelle montagne. Questo è un momento di raccolta di ciò che abbiamo seminato con quello sforzo, quei risultati e quell’impegno”, ha detto prima di rispondere alle domande dei giornalisti riuniti al Palazzo della Rivoluzione.

Siamo vaccinati, siamo immunizzati, andiamo ora verso il richiamo

Angélica Paredes, Radio Rebelde: “Si può dire che l’epidemia è ormai sotto controllo a Cuba? Quali garanzie abbiamo noi cubani di non dover affrontare altri picchi pandemici così gravi come quelli che abbiamo vissuto negli ultimi mesi?

Presidente Díaz-Canel: La pandemia non è finita. Dobbiamo imparare, controllandola, a convivere con essa.

Nel marzo 2020 siamo partiti con un livello di incidenza molto basso, il che ci ha dimostrato che mentre imparavamo dalla pandemia, eravamo anche in grado di controllarla, aggiornando i nostri protocolli e introducendo farmaci biotecnologici innovativi.

Alla fine dell’anno e all’inizio di gennaio, con la pandemia sotto controllo, abbiamo aperto la frontiera. È stato il primo momento in cui abbiamo aspirato a entrare nella nuova normalità. In quel periodo abbiamo avuto un afflusso, soprattutto di cubani che vivevano all’estero e di cubani in visita, provenienti da paesi dove c’erano alti livelli di trasmissione e, dall’altra parte, di un certo numero di turisti.

La grandezza dell’afflusso di persone che arrivavano in quel momento non ci permetteva di metterle tutte in centri di isolamento, perché andava oltre le nostre capacità. Perciò dovettero andare in quarantena domiciliare e dobbiamo riconoscere che le misure che erano state stabilite non furono sempre rispettate, la quarantena domiciliare non fu efficace e la trasmissione cominciò a manifestarsi in un modo completamente diverso da quello esistente, soprattutto a causa dell’entrata di varianti molto più aggressive del virus, come la variante delta.

Questa situazione si è ingigantita al punto che tra luglio e settembre 2021 i contagi hanno raggiunto livelli molto alti, avvicinandosi quasi a 10.000 casi al giorno.

In quel periodo, i vaccini erano in fase di ricerca, avevamo chiesto ai nostri scienziati autonomia nei vaccini e questi erano in fase di ricerca e sperimentazione clinica. Poi, quando abbiamo iniziato ad applicare gli studi di intervento a gruppi e comunità a rischio, abbiamo iniziato ad avere risultati che hanno poi facilitato la vaccinazione di massa della popolazione.

Con i risultati della vaccinazione di massa e l’impatto che abbiamo avuto con l’immunizzazione della popolazione, nelle ultime quattro o cinque settimane c’è stata una diminuzione e ora siamo sotto i 400 casi al giorno. Siamo quasi tornati ai livelli che avevamo nel gennaio 2021.

I numeri hanno iniziato a diminuire a ottobre, e ora, quasi a metà novembre, siamo ben al di sotto di quello che avevamo a gennaio; ciò riflette il controllo che abbiamo ottenuto sulla pandemia.

Allo stesso modo sono diminuite le morti. Man mano che il numero di casi aumentava di mese in mese, aumentava anche il numero di morti. Tra luglio e settembre ci sono stati picchi di decessi che sono diminuiti a ottobre, quando la vaccinazione di massa ha iniziato a fare effetto, e a novembre, per i giorni fin qui trascorsi, abbiamo avuto 31 morti, avvicinandoci alla cifra di gennaio di quest’anno.

Oggi, i casi attivi in tutto il mondo sono il 7,47% di tutti i casi confermati. Nelle Americhe, il 10,89%, e a Cuba (2.074 giovedì) solo lo 0,22%. Pertanto, Cuba ha un controllo migliore della pandemia rispetto al mondo e alla regione.

Cuba ha il 98,92% dei casi recuperati della malattia, le Americhe l’86,66% e il mondo il 90,51%. C’è una notevole differenza percentuale che dimostra l’efficienza dei risultati che stiamo ottenendo.

Nel mondo, il tasso di letalità è del 2,01%, nelle Americhe del 2,44% e a Cuba dello 0,86% e sta diminuendo in questi giorni.

Ciò significa che, nelle stesse condizioni in cui si è affrontata la pandemia, nel caso di Cuba, con tutti i problemi che abbiamo descritto e, soprattutto, l’influenza del blocco e le nostre carenze, se non fossimo riusciti a controllare la malattia con le misure applicate e i risultati dei nostri vaccini e dei nostri protocolli, oggi, se ci lasciassimo guidare da quello che sta succedendo nel mondo e nelle Americhe, avremmo un tasso di mortalità due o tre volte superiore a quello che abbiamo avuto.

In altre parole, siamo riusciti a ridurre di due o tre volte il tasso di letalità che ci spettava per il comportamento della pandemia rispetto a quello che sta succedendo nel mondo. Penso che questo sia un risultato che dimostra davvero il lavoro fatto dal sistema sanitario, dai nostri scienziati, e anche la cooperazione e la partecipazione di tutto il nostro popolo.

Ora, indipendentemente da questi risultati, siamo sfidati a convivere con la malattia. Il Covid-19 non sparirà, non c’è prognosi o indicazione scientifica che garantisca che se ne vada.

Per quasi due anni ci siamo preparati, abbiamo imparato. Abbiamo consolidato un metodo cubano basato sulla scienza e l’innovazione che ci ha permesso di arrivare fin qui, che ha sfruttato il potenziale del Comitato d’Innovazione e del sistema di scienza e innovazione del Ministero della Salute Pubblica insieme a quello di BioCubaFarma, creando anche interconnessioni tra questo sistema d’innovazione, il settore produttivo di beni e servizi e il resto delle entità che partecipano anche loro come parte del settore della conoscenza. È il caso delle università che sono state collegate a tutto questo. Così abbiamo raggiunto una gestione della scienza e dell’innovazione capace di affrontare il Covid-19.

Ne eravate a conoscenza: settimana dopo settimana, ogni martedì, abbiamo una riunione con gli scienziati, e queste riunioni portano sempre nuove intuizioni e prospettive. Si fanno bilanci e analisi dei risultati ottenuti e ci proponiamo nuovi elementi.

C’è stato inoltre un approccio olistico al lavoro della scienza nell’affrontare questi problemi. Durante tutto questo tempo, questo sistema di gestione e di innovazione si è concentrato in primo luogo sul conoscere la malattia e sulla creazione di sequenze più robuste possibili nei protocolli di cura dei pazienti, ma stavamo anche lavorando per prevenire e fermare la trasmissione.

Abbiamo anche dovuto concentrarci sui diversi passi che hanno portato allo sviluppo dei vaccini. Abbiamo realizzato studi per migliorare la qualità della vita di coloro che sono stati convalescenti e abbiamo dovuto fare una proiezione in termini di cura di questa problematica nelle persone vulnerabili, nelle comunità vulnerabili e nei nostri bambini.

È stata tutta una sequenza di lavoro che ci ha dato forza, ma è stato anche un processo di apprendimento.

Una delle cose più importanti che oggi costituisce senza dubbio un elemento di orgoglio nazionale è la sovranità che i nostri vaccini ci hanno dato. Abbiamo già più del 70% della nostra popolazione completamente vaccinata. Più del 90% ha almeno una dose e noi andiamo avanti.

Stavo guardando alcune statistiche, che controllo settimanalmente, fornite da un sito chiamato El mundo en datos (Il mondo in dati). Una delle statistiche che presenta è la vaccinazione per paesi e lì abbiamo visto come Cuba si sta evolvendo e salendo nel mondo in termini di popolazione completamente vaccinata.

Ricordiamoci che noi, a causa delle limitazioni che abbiamo avuto, abbiamo dovuto iniziare a progettare i nostri vaccini. Quindi siamo entrati nella vaccinazione forse un po’ più tardi rispetto ad altri paesi che avevano i soldi per pagare i vaccini ed erano favoriti in alcuni meccanismi internazionali.

Abbiamo dovuto prima passare attraverso tutto il processo di ricerca e tutte le fasi che servono per sviluppare i nostri vaccini, per assicurarci che avessero il potenziale per essere portati alla vaccinazione di massa.

Cosa sta succedendo adesso? Stavo confrontando dove si trovava Cuba tre giorni fa in termini di percentuale di popolazione completamente vaccinata, ed eravamo al 33° posto. Stiamo crescendo a un tasso di vaccinazione settimanale del 4,4%.

Tuttavia, gli ultimi paesi che abbiamo superato e quelli che siamo più vicini a superare stanno crescendo solo tra lo 0,3% e non più del 2%.

Perciò, stiamo ottenendo un vantaggio con tutto questo sforzo di vaccinazione a livello nazionale e che nei prossimi giorni avrà risultati molto favorevoli, dato che la vaccinazione dei bambini è completata e stiamo entrando nella vaccinazione dei casi che sono già stati colpiti dalla malattia.

Ci sono altri elementi che ci hanno dato forza. Sono stati creati laboratori per studi molecolari in tutte le province del paese e nel comune speciale di Isla de la Juventud. Quando è iniziata la pandemia, avevamo solo tre laboratori di questo tipo.

Inoltre, sono stati sviluppati farmaci innovativi, sono stati applicati alla pandemia farmaci che erano già efficaci nel trattamento di altre malattie e sono stati progettate, prodotte e utilizzate attrezzature e dispositivi creati in risposta all’urgenza della pandemia.

Per esempio, quando ci siamo resi conto che ci sarebbe stata una crisi nei reparti di terapia intensiva a causa del numero di casi che raggiungevano uno stadio critico o grave e che il mondo ci bloccava e nessuno ci avrebbe venduto ventilatori polmonari, gli scienziati cubani e anche il settore produttivo statale in relazione al settore non statale, hanno trovato risposte e ci sono stati progetti di ventilatori polmonari che sono già stati prodotti nell’ordine di centinaia di unità, che cominciano a darci sovranità in questo senso.

Questi sono, nell’insieme, i risultati che ci permettono di andare verso questa nuova normalità di cui parliamo oggi, ma l’unica garanzia di tenere la situazione sotto controllo è il nostro comportamento, la responsabilità che siamo capaci di condividere a livello individuale, familiare, sociale, istituzionale, collettivo e nazionale.

Che sappiamo essere all’altezza della sfida che implica il passaggio alla nuova normalità e che questo permetta a ognuno di noi, alle nostre famiglie, ai nostri figli, di riprendere la vita del paese, nelle condizioni attuali, con sicurezza e sostenibilità.

Abbiamo vaccini cubani che hanno dimostrato la loro efficacia, sono stati fatti progressi nell’immunizzazione e il controllo dell’epidemia è molto più che evidente. In mezzo a questa situazione, come nei giorni più duri della pandemia, continueremo a cooperare con il mondo, ma dobbiamo avere un controllo che deriva dalla nostra consapevolezza e responsabilità su questo tema.

Qualche giorno fa abbiamo dato riconoscimenti ai creatori dei vaccini, ieri l’Università dell’Avana ha conferito una laurea honoris causa al dottor Vicente Vérez, un importante leader del team che ha creato Soberana, ma penso che dobbiamo anche un premio all’eroismo e alla dignità del popolo cubano.

Siamo vaccinati, siamo immunizzati, ora stiamo andando al richiamo; abbiamo più esperienza, abbiamo imparato, c’è un sistema di lavoro robusto, ci sono risultati e, inoltre, stiamo parlando di una volontà di migliorarci a partire dalle cose che non sono andate bene.

Abbiamo già proposto di orientare alcune di queste sessioni scientifiche per concentrarsi non solo sulle questioni pandemiche, ma anche sugli altri problemi che il nostro sistema sanitario deve affrontare e migliorare.

Abbiamo imparato, ma non possiamo compiacerci o rilassarci. La sfida di aprire le frontiere, di potersi aprire all’arrivo di familiari e amici, di turisti, e anche le feste di fine anno, la celebrazione del trionfo della Rivoluzione che si avvicinano, dobbiamo affrontarle in modo responsabile.

Siamo più preparati rispetto alla fine dell’anno scorso, perché abbiamo le immunizzazioni, abbiamo i vaccini e faremo il richiamo, ma dobbiamo sostenere tutto questo con molta responsabilità e farlo in sicurezza, per non tornare indietro.

Questi sono i due elementi da sottolineare: stiamo controllando la pandemia, ma dobbiamo conviverci responsabilmente per evitare un nuovo scoppio pandemico.

A livello globale c’è la tendenza ad andare verso dosi di richiamo

Thalía González, Sistema Informativo della Televisione Cubana: Lei ha parlato della questione dei vaccini, una questione di orgoglio nazionale. È un argomento di cui si parla molto oggi nelle nostre case, scuole, comunità, e c’è una domanda associata alla questione del richiamo. Questo processo di vaccinazione di richiamo sta iniziando nel paese quando l’intera popolazione non è ancora immunizzata, anche se sappiamo che il livello di immunizzazione è alto. Molti cubani si stanno chiedendo se questo schema di vaccinazione anti-Covid-19 che abbiamo noi cubani non è sufficiente, perché questo richiamo?

Dobbiamo affrontare diversi elementi ed è la coniugazione di essi che ci condurrà alla risposta e alla convinzione del perché dobbiamo farlo e di quanto ci sia un’insufficienza o una possibilità di sostenibilità in quello che stiamo facendo.

In primo luogo, non possiamo dimenticare che lo sviluppo della vaccinazione a Cuba è stato un sistema che ha avuto delle tappe. Si è iniziato con una fase di ricerca scientifica per arrivare alla creazione dei vaccini; poi si è passati agli esperimenti clinici necessari per provare la loro sicurezza; successivamente allo studio di intervento.

Con i risultati di questo e l’approvazione del Cecmed, siamo stati in grado di passare agli interventi in gruppi e territori a rischio. E con i risultati di questi ultimi, siamo arrivati alla vaccinazione di massa.

Perciò abbiamo cubani e cubane vaccinati in momenti diversi. La vaccinazione non è stata fatta tutta in una volta per l’intera popolazione, quindi ci sono persone che sono state vaccinate più di quattro, cinque, forse anche sei mesi fa. Altri in fasi più vicine al presente, non hanno completato i loro programmi di vaccinazione, quindi la distribuzione della vaccinazione non è uniforme nel tempo.

Secondo le tendenze globali della ricerca scientifica in questo momento, diversi paesi, con l’emergere di ceppi più aggressivi, hanno condotto studi che determinano importanti dosi di richiamo affinché i loro vaccini mantengano alti livelli di immunizzazione.

La tempistica varia a seconda dell’efficacia dei diversi vaccini – mi riferisco a quelli di altri paesi, perché i nostri hanno funzionato e abbiamo vaccinato persone in presenza di ceppi molto aggressivi e si sono dimostrati efficaci.

Questa non è una situazione unica per i vaccini anticovid. Sappiamo che ci sono molti vaccini, anche all’interno delle campagne vaccinali cubane, che si devono riattivare ogni tanto.

Quindi, globalmente c’è una tendenza ad andare verso le dosi di richiamo a causa di tutte le cose che vi stavo spiegando.

Quali considerazioni gli scienziati cubani hanno condiviso con noi martedì scorso? Dicono che l’efficacia dei vaccini cubani è stata dimostrata, è stato accertato che ci sono alti livelli di anticorpi dopo la vaccinazione, che si prolungano con livelli molto più alti fino a sei-otto mesi dopo la vaccinazione.

Ma sostengono che, tenendo conto delle tendenze internazionali, della nostra efficacia, del fatto che non possiamo tornare indietro e che abbiamo vaccinato le persone in momenti diversi, è importante procedere con i richiami.

Anche se c’è una parte della popolazione che non abbiamo finito, cominceremo con quelli che sono stati vaccinati da più tempo con il programma completo. Possiamo farlo perché abbiamo i nostri vaccini, perché hanno dimostrato di essere sicuri e ci hanno dato l’immunità, e ora vogliamo prolungare questa immunizzazione per evitare di arrivare a nuovi focolai pandemici.

C’è un intero gruppo di possibilità, di varianti, di dosi di richiamo che gli scienziati hanno spiegato e dimostrato molto bene in quella sessione scientifica. Dalla vaccinazione primaria, cioè, se sei stato vaccinato prima con Abdala o Soberana, come puoi integrare la dose di richiamo usando Abdala o Soberana 01, che è uno dei vaccini che sta dando ottimi risultati negli studi che si stanno facendo sulle dosi di richiamo.

Ricordiamo inoltre che stiamo portando avanti gli esperimenti clinici e i test di un quinto candidato vaccinale, Mambisa, che ha ottime prospettive e i cui risultati preliminari, che non sono ancora completi, danno ottime possibilità che possa essere usato come dose di richiamo. Mambisa ha il potenziale di poter essere applicato a livello nasale.

Con tutte queste potenzialità, tenendo conto delle tendenze internazionali, degli studi scientifici e del nostro desiderio di non tornare indietro, è giustificato andare verso dosi di richiamo.

Se un turista desidera vaccinarsi, potrà farlo

Arleen Rodríguez Derivet, Mesa Redonda: Presidente, lei parlava in quella magnifica struttura del CIGB che è stata inaugurata a Mariel qualche giorno fa e che dà molta speranza per quanto riguarda la produzione di vaccini e credo che quando lei ha cominciato a parlare dei vaccini cubani e della loro efficacia, molti nel mondo hanno detto che verrebbero a fare turismo a Cuba per farsi vaccinare. È contemplata questa possibilità che la vaccinazione possa essere fornita ai turisti nel momento in cui lo richiedono? E, inoltre, ci sono reali possibilità di recupero di questo settore, che dà vigore a tutto il resto dell’economia cubana?

La sua domanda si concentra sull’economia e sul ruolo del rilancio della nostra economia in questa situazione di nuova normalità verso la quale stiamo andando.

In primo luogo, vorrei riconoscere lo sforzo fuori dal comune che il paese ha dovuto fare durante tutto questo tempo e che, in mezzo a una situazione economica così complessa, Cuba si è rivolta a salvare vite umane, prima di tutto.

All’inizio del Covid-19, abbiamo ammesso con totale sincerità la complessità della situazione. Da quel momento in poi, abbiamo previsto che il paese avrebbe ridotto i suoi livelli di reddito, ragion per cui avremmo avuto delle carenze.

Abbiamo annunciato che il turismo sarebbe stato paralizzato, che non avremmo ricevuto le entrate dal turismo che avevamo in altri tempi. Abbiamo raggiunto più di quattro milioni e mezzo di turisti in un anno.

Abbiamo parlato della contrazione che ci sarebbe stata negli investimenti esteri, nelle nostre esportazioni e importazioni; delle difficoltà che avremmo avuto nei processi produttivi, che l’economia e i servizi, compreso il turismo, avrebbero rallentato.

In queste condizioni eccezionali nelle quali si è ritrovata l’economia, il paese ha perso più di 3 miliardi di dollari di entrate in un anno e mezzo. Bisognerebbe vedere come le cose sarebbero diverse oggi se avessimo avuto quelle entrate.

Inoltre, il poco reddito che abbiamo ricevuto ha dovuto essere speso in gran parte per salvare vite, e più di 300 milioni di dollari sono stati spesi per coprire i costi di messa in sicurezza nella lotta contro il Covid.

In mezzo a questo, abbiamo espresso la nostra piena volontà di continuare a proporre azioni per completare la strategia economica e sociale che si era progettata per affrontare la crisi economica, una crisi che è multidimensionale, multifattoriale e globale.

Ora, con questa entrata nella nuova normalità, la nostra economia si riprenderà senza dubbio, e lo farà in condizioni di nuove capacità, perché, in mezzo a tutte queste circostanze, abbiamo approvato i nuovi attori economici.

L’approvazione di nuove forme di gestione, sia nel reparto statale che in quello non statale, scorre a buon ritmo e, quindi, questo intreccio di forme di gestione statali e non statali darà, prima o poi, anche un dinamismo ai servizi e ai beni offerti alla nostra popolazione.

Ma in questa ripresa economica, il turismo gioca un ruolo fondamentale, perché il turismo guida anche il resto dell’economia. È questo concetto di locomotiva dell’economia, che ora avrà più potenzialità perché collegherà più forme di gestione, sia statali che non statali.

E dobbiamo anche guardare a ciò che abbiamo già smesso di guadagnare perché il turismo è stato contratto in queste condizioni pandemiche.

Dico sempre in modo banale che il turismo è l’attività economica che tira la carretta ogni giorno nel paese, e quando abbiamo entrate dal turismo, il paese ha più aria, più ossigeno per andare avanti nell’economia. Non per niente l’Impero l’ha attaccata, come una delle attività economiche in cui sanno che ci causano danni.

In mezzo a questa situazione, dobbiamo riconoscere che nell’economia, avendo meno entrate, c’è meno copertura della domanda della popolazione; avendo un mercato illegale di valuta estera, che provoca anche un tasso di cambio molto superiore a quello ufficiale, c’è stato un fenomeno d’inflazione, riguardo al quale si stanno facendo studi, e stiamo per vincere anche questa sfida.

In queste condizioni di nuova normalità, e con tutta la preparazione che è stata fatta, ci aspettiamo che ci sia un maggiore arrivo di turisti di quello che avevamo previsto inizialmente in mezzo a questa situazione.

Oggi, il modo in cui i tour operator, le agenzie di viaggio e le compagnie aeree si stanno muovendo ci indica che dal 15 avremo un flusso di voli che supera il mezzo centinaio alla settimana, e questo aumenterà durante il mese di novembre, con livelli più alti in dicembre e gennaio.

Nel resto dell’anno, dovremmo ricevere quasi il 50% di quello che abbiamo ricevuto in tutto quest’anno in condizioni di pandemia. Quindi, c’è un aumento immediato, questo è ciò che prevediamo, ma non un recupero immediato dell’attività turistica, perché ricordate, abbiamo avuto cifre di quasi 4,5 milioni di turisti, ma è un buon inizio, al di sopra delle aspettative che abbiamo a causa della contrazione dell’economia mondiale, e della difficile situazione che il Covid ancora causa in una serie di paesi che sono la fonte del turismo a Cuba.

In questa situazione, se un turista vuole farsi vaccinare, potrà farlo. Ci sono tutti i piani, e anche il turista o il visitatore che viene a Cuba per un lungo periodo di tempo e vuole essere vaccinato avrà tutta l’assistenza per completare il percorso.

A coloro che non possono completare il percorso nel tempo in cui rimarranno nel paese, rispettando gli intervalli tra una dose e l’altra, viene data loro la prima dose, e si portano dietro le dosi rimanenti con tutte le indicazioni, il metodo e le possibilità di assistenza.

Di fatto, ci è già stato annunciato che ci sono gruppi di turisti che vengono proprio con lo scopo di, oltre a fare un soggiorno a Cuba, farsi vaccinare e approfittare della sicurezza offerta dai vaccini cubani.

Ieri, il primo ministro Marrero Cruz ha visitato gli aeroporti per vedere come viene preparata la campagna. Anche in questi giorni, dal governo hanno continuato ad arrivare gli elementi di sostegno logistico al turismo.

Durante questo periodo il turismo non si è fermato, c’erano bassi livelli di turismo, ma stavamo lavorando al recupero dell’industria alberghiera e c’è stato un enorme sforzo per recuperare capacità, per creare migliori condizioni negli alberghi, e questo ci permette di garantire che i turisti che arrivano a Cuba troveranno un paese in pace, un paese solidale, un’isola bella e affascinante, un popolo amichevole, e potranno apprezzare una Cuba che vive e dove si vive in sicurezza.

Questi temi, in cui abbiamo messo in relazione l’economia, il turismo e la vaccinazione in condizioni di pandemia e nuova normalità, saranno trattati più dettagliatamente la prossima settimana in un’altra conferenza stampa, alla quale parteciperanno il primo ministro, Manuel Marrero Cruz, il vice primo ministro e ministro dell’Economia e della Pianificazione, Alejandro Gil, e un altro gruppo di ministri e rappresentanti delle istituzioni legate alle questioni economiche.

Il lavoro nei quartieri è qui per rimanere e dobbiamo fare in modo che sia sostenibile

Alina Perera, Juventud Rebelde: Negli ultimi mesi abbiamo visto una rinascita del lavoro comunitario, c’è stato un forte movimento, per esempio, in più di 60 quartieri dell’Avana, che avevano bisogno di trasformazioni. L’idea si è diffusa in altre parti del paese, e solo poche ore fa lei è stato nelle province di Guantánamo e Granma, e anche lì noi giornalisti abbiamo potuto vedere come si stanno trasformando le comunità e come si stanno risolvendo i problemi accumulati.

Lei ha detto nell’Oriente del paese che queste trasformazioni devono essere sostenibili e sistematiche, e che questo lavoro con i quartieri più bisognosi è qui per restare. Come raggiungere questa sostenibilità e sistematicità?

So che ci sono insoddisfazioni nel lavoro, che ci sono stati momenti di aumento e diminuzione dell’intensità del lavoro nei quartieri, ma quando si affrontano i problemi dei quartieri, non si può non riconoscere che in mezzo a tutti questi momenti ci sono stati leader di progetti comunitari che sono rimasti stabili, e che sono stati culle di esperienza e lavoro in relazione con i quartieri.

Questo è stato ciò che ho sentito in una delle prime riunioni che abbiamo avuto con i rappresentanti dei settori sociali, che è stata con i leader dei progetti comunitari, a San Isidro, e lì abbiamo imparato molto per tutto questo lavoro che abbiamo cercato di intensificare e promuovere.

La sostenibilità di questo lavoro dipenderà dalla misura in cui ci radicheremo in un intero gruppo di concetti che stiamo difendendo con questo lavoro. In primo luogo, stiamo difendendo l’esercizio del potere popolare come parte del nostro sistema politico nella costruzione socialista, che passa attraverso l’esistenza di momenti in cui i cittadini possono discutere, sollevare le loro preoccupazioni e aspirazioni e proporre soluzioni.

Che ci sia un momento in cui queste proposte possono essere attuate, e che ci sia anche un terzo momento in cui c’è assunzione di responsabilità e controllo popolare su ciò che viene fatto.

Se guardiamo a ciò dal punto di vista di come tutto è organizzato a livello del nostro sistema politico, dobbiamo dare un ruolo fondamentale ai delegati di Potere Popolare, che sono rappresentanti del popolo, perché allora il popolo parteciperebbe direttamente e anche indirettamente attraverso la gestione del delegato, la gestione delle commissioni e la gestione delle Assemblee Municipali del Potere Popolare.

Gli abitanti stanno avendo la capacità, all’interno dei molti problemi che esistono, che non possiamo risolvere tutti nello stesso momento, di definire le priorità. Ciò che gli abitanti propongono è rappresentato dal loro delegato nell’Assemblea Municipale, e quest’ultima, in base alle risorse che ha, approva le priorità su cui si lavorerà, e questo torna al quartiere, la gente continua a lavorare e in questo modo si perfeziona, realizzando il controllo popolare, e così si tornano a migliorare i risultati.

Se lo facciamo in questo modo, si ottiene sostenibilità e passa attraverso questo concetto di potere popolare, ben sostenuto da elementi di democrazia e partecipazione popolare, che trasforma i beneficiari, che sono gli abitanti, in protagonisti del cambiamento e della trasformazione che portano avanti nel quartiere.

D’altra parte, siccome avevamo bisogno di una spinta, perché la pandemia ha paralizzato anche processi come questo lavoro nei quartieri, abbiamo chiesto alle istituzioni pubbliche, alle istituzioni statali, alle imprese di ogni territorio e, nel caso dell’Avana, agli organi dell’Amministrazione Centrale dello Stato, di partecipare a questo processo.

Questo comincia a darci un elemento di costruzione della responsabilità sociale di cui tutto il sistema istituzionale e tutti gli attori economici devono tener conto, a partire dalla responsabilità di un’istituzione pubblica situata in un quartiere – per esempio, con la questione dello sviluppo sostenibile di quel quartiere, la protezione dell’ambiente, il lavoro in favore della comunità – ma va anche a costruire una sensibilità in queste istituzioni, gruppi di lavoratori e dirigenti, sui problemi del quartiere.

E se partiamo dalla sensibilità, ci sarà senza dubbio anche una proiezione più intensa e intenzionale verso il quartiere. Non si tratta quindi di intervenire nel quartiere, si tratta di rispettare ciò che il quartiere propone, di sostenere e aiutare il quartiere.

Di accompagnare tutto questo processo di trasformazione, e tutto questo, quindi, dobbiamo sostenerlo, allo scopo di renderlo sostenibile, con quello che stiamo progettando ora e con un gruppo di accademici ed esperti che lavorano su questi temi.

In primo luogo, bisogna decentrare alcune competenze ai municipi, affinché possano esercitare l’autonomia di governo che la Costituzione riconosce loro.

Dobbiamo anche dare una nuova attenzione ai bilanci comunali affinché nei municipi i bilanci contengano risorse che facilitino non solo il lavoro con un campione di quartieri, come stiamo facendo ora, ma anche l’estensione delle azioni a tutti i quartieri, e che tutto questo sia collegato alle strategie di sviluppo territoriale che sono state approvate con progetti di sviluppo locale e al rafforzamento dei sistemi produttivi locali.

E qui proponiamo anche un ridimensionamento del settore imprenditoriale, che incoraggerà più aziende statali a essere subordinate al municipio, in modo che il municipio possa contare su entità statali e attori economici non statali che possano collegarsi e lavorare in termini di sviluppo del municipio.

Tutto questo può anche essere incluso nel fatto che la pratica politica con cui dobbiamo lavorare nei quartieri è quella di fare politica con i concetti del fare politica nella Rivoluzione, con quello che Hart ha definito, in base all’esperienza del pensiero di Martí e del Comandante in Capo, come una combinazione di ideologia, scienza ed etica nella pratica politica.

Il lavoro nei quartieri è qui per rimanere e dobbiamo fare in modo che sia sostenibile, articolando tutti questi elementi e con la convinzione che, anche se ci sono molti problemi che non possiamo risolvere tutti in una volta, ogni giorno strapperemo pezzi a ognuno di questi problemi.

È essenziale rafforzare i canali di partecipazione, che è l’unica cosa che renderà sostenibile questa Rivoluzione nelle comunità, ed estenderli a tutto il paese.

Nei giorni scorsi abbiamo invitato tutti i primi segretari dei Comitati Provinciali del Partito e hanno partecipato all’esperienza di La Timba, l’hanno condivisa con la popolazione, e dopo abbiamo avuto un dibattito su quell’esperienza e su quello che loro avevano fatto nelle province.

Ora in questo mese stiamo già conducendo visite nelle province, come quelle che abbiamo iniziato ieri a Guantánamo e Granma, dove uno degli elementi che stiamo apprezzando è come si sta lavorando nei quartieri.

Bisogna dire che nelle province abbiamo anche la partecipazione popolare nei quartieri. Lo abbiamo visto ieri a Cecilia, a Guantanamo, e a Pedro Pompa, a Bayamo.

Vediamo anche lo spirito che si crea tra gli abitanti, i livelli di partecipazione, e il controllo popolare è molto importante. Sono le persone che controllano ciò che viene fatto, in modo che tutto si faccia con qualità. Se lasciamo che le cose vadano male, la responsabilità è degli abitanti stessi.

Quindi, si tratta di rafforzare le esperienze che sono già all’interno della Rivoluzione, di trasformare le eccezioni in regole, di dare un’attenzione più diretta e intenzionale alle persone che si trovano svantaggiate, a quelle che hanno qualche tipo di vulnerabilità, e questo dimostra che la forza della Rivoluzione è nei quartieri.

Permanenza e sistematicità

Hector Martínez, Sistema Informativo della Televisione Cubana: – Volevo fare riferimento agli scambi che lei ha tenuto negli ultimi mesi con vari settori della società, che senza dubbio hanno avuto un grande impatto sui cubani. Questa pratica sarà mantenuta nel tempo? È stato progettato un qualche sistema di lavoro che garantisca che le opinioni raccolte in questi incontri non diventino lettera morta?

Questi recenti scambi con diversi settori della società sono stati molto utili, ma vorrei sottolineare che non si tratta di qualcosa di nuovo. Stavamo anche realizzando un intenso sistema di visite con la partecipazione di tutto il governo nelle province, e in quelle visite avevamo scambi con le università, gli studenti e i professori, il settore scientifico, quello artistico, la stampa, e in tutto ciò i tempi della pandemia hanno causato un’interruzione.

Ma, senza dubbio, in una modalità rinnovata come tu riconosci, siamo tornati a questa pratica, e lo abbiamo fatto con una prospettiva più ampia di partecipazione e di contributo.

In pochi mesi abbiamo avuto incontri con rappresentanti di economisti, giuristi, imprenditori, giornalisti, federazioni, lavoratori autonomi, artisti, giovani, leader comunitari e religiosi, agricoltori, scienziati, sportivi e anche con persone della comunità LGBTIQ+… Tutti sono stati molto rivelatori e di grande utilità.

Tutto ciò è documentato, e sia la direzione del Partito che il governo sono costantemente aggiornati su ciò che sta uscendo da ognuna di queste riunioni, e negli spazi del sistema di lavoro stiamo monitorando come vengono date le risposte alle proposte di queste riunioni, quindi questo è già parte di un sistema di lavoro, che è una parte della tua domanda.

E penso che sia già evidente che abbiamo iniziato ad attuare molte delle cose che sono state proposte. Per esempio, le trasformazioni che abbiamo fatto in alcune impostazioni dell’ordinamento che erano legate alla produzione agricola, e il perfezionamento che abbiamo fatto con le 63 misure per promuovere e stimolare la produzione e la commercializzazione degli alimenti, hanno a che fare con i contributi che abbiamo avuto in due riunioni con i produttori agricoli.

I giuristi hanno affrontato due questioni fondamentali: come migliorare il nostro processo di legislazione e come approfondire la questione della consulenza legale. Abbiamo già apportato dei cambiamenti al processo di elaborazione delle leggi e molti dei principi che sono stati sollevati sono stati incorporati nel processo che porta al Codice della Famiglia.

La versione 22 del Codice della Famiglia, pur non essendo ancora un progetto preliminare o il documento finale da sottoporre all’Assemblea Nazionale prima della sua approvazione e consultazione popolare, è stata fatta circolare con tutto il tempo necessario per raccogliere le opinioni della popolazione.

Pertanto, ci sono già nuove bozze di questa versione 22 che incorporano nuovi elementi che fanno parte della creazione normativa, ed è il documento che sarà portato all’approvazione dell’Assemblea Nazionale, per poi continuare con questo processo.

L’incontro con la comunità LGBTIQ+ ci ha dato, a partire dalle loro storie di vita, molta conoscenza e riconoscimento delle questioni che dobbiamo affrontare da un altro punto di vista sociale, che devono avere a che fare con contenuti di politica sociale, compresi alcuni elementi che per essere trattati adeguatamente devono essere contenuti nel Codice della Famiglia.

L’incontro con gli accademici dell’Accademia Cubana delle Scienze ha subito preso la forma di un accordo in base al quale ogni mese avremmo avuto un incontro con l’Accademia Cubana delle Scienze, come organo consultivo che può contribuire molto a varie questioni che riguardano il paese, e infatti lunedì prossimo avremo un altro incontro.

Insomma, tutto questo avrà un seguito e non rimarrà lettera morta, e dobbiamo riconoscere il contributo che questi settori hanno dato. Per esempio, l’incontro con gli studenti universitari che hanno partecipato a missioni importanti durante il Covid ci ha dato elementi rispetto alle carenze che avevamo nel sistema sanitario, ma hanno proposto progetti; per esempio, uno per l’informatizzazione della Cujae per migliorare la gestione degli investimenti negli istituti sanitari. Tutto questo, con permanenza e sistematicità, viene seguito.

In pace, nel presente e nel futuro, Cuba vive e vivrà

Wilmer Rodríguez, Sistema Informativo della Televisione Cubana: – La mia domanda è incentrata sulle sfide e sul futuro della nazione e della Rivoluzione Cubana. C’è chi pensa in questi giorni che il prossimo 15 novembre si creerà una situazione difficile nel paese. Guardando alle sfide future del paese, vorrei la sua opinione dalla sua posizione di Primo Segretario del Partito e Presidente della Repubblica, ma anche come cubano, come uomo che conosce, che ha viaggiato, che sa, che viene dalla base, che conosce il paese in cui viviamo.

Si osserva che c’è tutta un’intenzione mediatica e che oltrepassa l’aspetto mediatico, e fa parte di una strategia imperiale per cercare di distruggere la Rivoluzione. Hanno cercato di costruire eventi attraverso le date: hanno provato a testare l’11 luglio, ora propongono provocazioni intorno al 15 novembre; hanno creato tutto un alone mediatico affinché il mondo aspetti ciò che accadrà a Cuba il 15 novembre.

Credo che nemmeno questo ci possa togliere il sonno, siamo calmi, fiduciosi, ma attenti e vigili, e siamo pronti a difendere la Rivoluzione, ad affrontare qualsiasi interferenza contro il nostro paese, soprattutto contro tutto ciò che minaccia la pace, la tranquillità dei nostri cittadini e il nostro ordine costituzionale.

Ma, più di questo, concentriamoci sul futuro. Credo che dobbiamo guardare il futuro a partire dal presente, da questo stesso presente che stiamo per vivere con il ritorno alla normalità.

C’è il fatto che i risultati che stiamo ottenendo nella lotta contro il Covid – grazie ai vaccini, grazie a tutto quello che abbiamo spiegato – ci permetteranno di riprendere la vita economica e sociale dei cubani, che l’economia comincerà a rinascere, che apriremo le porte al turismo, che l’anno scolastico comincerà con tutto il suo entusiasmo, gioia e colore (dovreste vedere come i bambini di Guantánamo ci dicevano ieri quanto erano ansiosi di tornare a scuola); il fatto che oggi inauguriamo la Biennale dell’Avana, un importante evento culturale che hanno provato anche a massacrare; il fatto che, in mezzo a tutta questa situazione, siamo riusciti a creare una struttura biotecnologica di alta tecnologia come il centro CIGB-Mariel, che abbiamo recentemente inaugurato in compagnia del Generale dell’esercito e del primo ministro; gli sforzi che si stanno facendo per preparare il raccolto dello zucchero, nell’applicazione delle misure che abbiamo approvato per l’autonomia e il miglioramento imprenditoriale, nell’applicazione delle misure per migliorare la produzione e la commercializzazione degli alimenti, nell’applicazione di un sistema di gestione del governo basato sulla scienza e l’innovazione che, con l’esperienza del confronto con il Covid-19, si sta trasferendo ad altri settori, e già in tutte le organizzazioni vediamo espressioni di questo sistema di gestione.

Abbiamo portato questo sistema di gestione in attività fondamentali come il settore energetico del paese, la produzione alimentare, e diversi altri settori, il che apre delle potenzialità.

Oggi giuristi, esperti, accademici e scienziati sono legati a tutti i programmi di sviluppo che il paese sta portando avanti, alla gestione delle leggi e delle norme giuridiche nel processo di creazione delle leggi in modo che siano robuste.

Questo Palazzo è costantemente un viavai di accademici, scienziati, esperti, che vengono qui per dare il loro contributo a una serie di programmi e processi.

Il modo in cui abbiamo fatto la pianificazione economica e strategica dello sviluppo economico e sociale del paese, prendendo come macro-programma gli assi strategici del Piano Nazionale di Sviluppo Economico, traducendo questi macro-programmi in progetti, nei quali sono coinvolte le istituzioni scientifiche, gli esperti e gli accademici.

Il fatto che stiamo sviluppando un processo legislativo molto intenso, fedele a quanto approvato dall’Assemblea Nazionale. Nella scorsa legislatura, l’assemblea ha approvato quattro leggi che sono molto avanzate in termini di difesa dei diritti delle persone; ora ci accingiamo a discutere il Codice della Famiglia, che può metterci a disposizione un sistema di leggi molto inclusivo, che rispetta i diritti e moltiplica la partecipazione.

Tutti questi sono un insieme di elementi che, a partire da questo presente che stiamo creando, ci permettono di dire che il futuro del paese è un futuro di speranza, un futuro di prosperità e un futuro di Rivoluzione.

Cuba è una nazione di pace. Siamo ribelli, non siamo conformi, non tolleriamo ciò che viene fatto male, facciamo una critica adeguata e dovremo criticare ancora di più tutto ciò che si fa male dove viene lasciato spazio alla mediocrità; ma siamo, soprattutto, una nazione di pace, una nazione di solidarietà, di amicizia. E questa nazione difende un progetto che è una rivoluzione socialista genuina, che non è al potere abusivamente.

Al contrario, si rinnova costantemente, si perfeziona costantemente, si sforza costantemente di fare ciò che è meglio per il popolo, avendo come base della partecipazione del popolo.

Siamo una rivoluzione cosciente del fatto che il suo esempio mette a disagio chi si oppone a essa e quindi siamo una rivoluzione che non sopravviverebbe, e questo dobbiamo averlo chiaro, all’errore di trascurare le proprie difese.

Per questo andiamo anche in questa nuova normalità all’Esercitazione Moncada, andiamo alla Giornata della Difesa, ma come elemento genuino di partecipazione popolare, anche nella preparazione che dobbiamo avere e rafforzare per mantenere la nostra sovranità e indipendenza.

Siamo una società aperta al dialogo, al dibattito, al miglioramento della nostra società, abbiamo un’enorme volontà di continuare ad ampliare la nostra democrazia, gli spazi di dibattito, la partecipazione dei nostri cittadini in funzione della Rivoluzione. Ma siamo una società chiusa alle pressioni, chiusa ai ricatti, chiusa alle interferenze straniere.

Da questo presente che già ci mostra il futuro che raggiungeremo, Cuba vive e non è un miracolo. Cuba vive perché lo vogliono i suoi figli e ognuno di noi è responsabile di costruire il futuro della Cuba a cui aspiriamo.

Cuba collabora anche con chi ha meno, Cuba salva vite e non solo sente la responsabilità e l’impegno della solidarietà, ma abbiamo anche l’entusiasmo di condividere le nostre conoscenze per aiutare chi ne ha più bisogno nel mondo.

Il nostro motto è la pace. Il Generale dell’esercito ha dichiarato due congressi del Partito fa che la pace, insieme alla battaglia ideologica e alla battaglia economica, sono le nostre priorità.

La pace e la sicurezza pubblica sono baluardi che ci distinguono in mezzo a un clima mondiale sempre più aggressivo e insicuro. Noi, come parte di quel futuro, ci prenderemo cura della pace come ci prendiamo cura dei nostri figli.

In pace abbiamo ottenuto i primi vaccini latinoamericani; in pace abbiamo immunizzato quasi il cento per cento della nostra popolazione, compresi i nostri bambini e le nostre bambine; in pace le scuole funzionano, e in pace il 15 inizieremo un’altra tappa del percorso scolastico; in pace la nostra economia si riprenderà; in pace continueremo ad avanzare con la strategia economica e sociale; tranquilli, attenti e sicuri. In pace, nel presente e nel futuro, Cuba vive e vivrà.

 

I federali dell’FBI, lo staff responsabile per la sicurezza della sede del Congresso, le forze della polizia locale. Addirittura il DHS, il Department of Homeland Security, la Sicurezza Interna. Un enorme dispiegamento di forze dell’ordine di tutti i livelli; questa volta, con una scelta di tempo ferrea, anche cento uomini della Guardia Nazionale, ma armati di soli manganelli autorizzati dal Segretario alla Difesa, Lloyd Austin.

Tutto questo a Washington D.C. che tè ornata a blindarsi a difesa del Campidoglio, sede del Congresso, dove sono tornati a farsi vedere i muri di filo spinato, le transenne e le recinzioni alte due metri e mezzo, come dopo l’attacco di nove mesi fa.

Per evitare di ripetere gli errori del passato.

La fibrillazione, durata per tutta la settimana, è stata innescata dall’indizione di una manifestazione, poi rivelatasi un flop: il raduno programmato a Capitol Hill – “Justice for J6” – a sostegno degli imputati in attesa del processo per l’assalto alla sede del Congresso avvenuta il 6 gennaio scorso e prevista per mezzogiorno ora locale (le 18 in Italia) di sabato 18 settembre.

Quanto e se si tradurrà in un boomerang per l’ex presidente Trump e per tutta la destra suprematista lo vedremo nei prossimi mesi.

Many’s the time I’ve been mistaken
And many times confused
Yes, and often felt forsaken
And certainly misused
But I’m all right, I’m all right
Molte sono le volte che mi sono sbagliato
E molte volte mi sono ritrovato disorientato
e spesso mi sono sentito abbandonato
e sicuramente maltrattato
Ma va bene, tutto bene…
(Paul Simon, da American tune)

Fase uno: riscaldamento

L’intelligence USA nelle scorse settimane ha intercettato numerosi messaggi in rete da parte di gruppi nazionalisti e neonazi estremamente bellicosi, ai quali si sono aggiunte le decine di chat online monitorate dall’FBI, in cui si fantasticava di un “nuovo assalto al Congresso”, di “rapire un parlamentare”, di “prendere di mira chiese liberali e centri ebraici. Tutto lasciava pensare a qualcosa organizzato in grande stile. O così voleva lasciar credere.

Alla fine la montagna ha partorito il topolino: non è stato identificato alcun “piano specifico o credibile associato con l’evento” e la manifestazione si è svolta senza registrare incidenti né scontri e con una presenza in piazza ridicola: 400 partecipanti circa (la piazza era stata richiesta per 700 a significare che le aspettative non erano certo migliori) a fronte di migliaia di esponenti delle forze dell’ordine.

Il raduno “Justice for J6” è stato organizzato per esprimere solidarietà alle circa 600 persone incriminate per l’assalto a Capitol Hill, quando la folla – incitata da Donald Trump – irruppe al Congresso nel tentativo di bloccare la certificazione della vittoria presidenziale di Joe Biden (evento che portò al secondo impeachment dell’ex presidente).

Molte di quelle persone sono ancora in carcere e la retorica dell’alt-right americana li vuol far passare per prigionieri politici: “Ingiustamente perseguitati”.

Attorno al Campidoglio, dunque, già da giovedì sono stati eretti di nuovo gli sbarramenti di metallo apparsi anche a gennaio per proteggere l’insediamento di Biden: a contrassegnare una sorta di zona rossa invalicabile. Il timore di nuovi incidenti era forte. In realtà in città sono arrivate meno di mille persone. E neanche tanto bellicose.

I locali del Congresso comunque, per prudenza, sono stati comunque lasciati vuoti; con il presidente già partito per trascorrere il weekend nella sua casa al mare nel Delaware, mentre Camera e Senato non sarebbero stati in sessione.

La preoccupazione, semmai, come dichiarato da Tom Manger responsabile capo della Polizia di Capitol Hill alla corrispondente per la ABC News, Rachel Scott, era di scontri con gli attivisti antifa che in altre zone della città avevano organizzato alcune contromanifestazioni.

A ben vedere però il timore che le cose sarebbero potute sfuggire di mano, ha singolarmente turbato pure The Donald.

Da un lato infatti ha continuato a ripetere di essere solidale con chi “è stato arrestato ingiustamente mentre protestava contro le elezioni truccate” (secondo quella “Big Lie”, il solito disco rotto della “grande bugia”, come l’hanno già ribattezzata da tempo i giornali americani, per cui sarebbe lui il vero vincitore delle elezioni).

Dall’altro ha espresso preoccupazione per una “trappola nei confronti dei Repubblicani”: se non andranno in massa diranno che è per mancanza di spirito. Se ci sarà gente li chiameranno violenti”. Questo sembra segnare l’attuale crisi all’interno del partito.

I tanti parlamentari del GOP (1) che pure hanno parlato in favore dei rivoltosi, non hanno partecipato nemmeno alla marcia, ma infine hanno ignorato la piazza; l’invito anzi era a non ostentare simboli trumpiani o repubblicani per non politicizzare oltre l’evento.

Con buona pace del fatto che a organizzare la marcia era stato proprio un gruppo no-profit “Look Ahead America”, guidato da un ex membro dello staff elettorale del tycoon, Matt Braynard.

L’associazione per bocca del suo “leader” è “dedicata a difendere i patrioti americani che sono stati dimenticati dal governo“, vuole porre all’attenzione dell’opinione pubblica “l’incremento degli abusi nei confronti dei prigionieri politici non-violenti” e chiede “un equo trattamento per i manifestanti accusati di essere coinvolti nell’assalto, più di 600 di cui circa 60 sono ancora detenuti e perseguitati politicamente”.

Tra le imputazioni più serie per decine di loro c’è quella di “cospirazione allo scopo di organizzare gli attacchi al Campidoglio volti a bloccare il Congresso dalla validazione del voto del Collegio Elettorale delle elezioni presidenziali 2020”.

Per il Dipartimento di Giustizia e gli stessi giudici gli imputati sono colpevoli di insurrezione in uguale misura, sia che abbiano partecipato ai violenti scontri con le forze dell’ordine, sia che abbiano “solo” avuto un ruolo di leadership nel pianificare la rivolta.

Secondo la Polizia Federale molti degli estremisti detenuti sono membri o associati di milizie armate o gruppi antigovernativi organizzati. In realtà soltanto nove imputati sono collegati ai Proud Boys e tre agli Oath Keepers, gruppi già ampiamente segnalati dal nostro giornale.

Riflessione a margine

Sulla manifestazione pesava anche l’ombra del nuovo libro di Bob Woodward, il giornalista investigativo celebre per aver svelato lo scandalo Watergate. Nel suo “Peril”, in libreria da martedì, ma già ampiamente anticipato dalla stampa americana, si dice infatti che due giorni dopo l’attacco al Congresso, il generale del comando unificato Mark Milley, preoccupato dallo stato mentale di Trump, chiamò la controparte cinese per assicurare che gli Stati Uniti non stavano pianificando alcun attacco (e allo sdegno dei repubblicani che già lo chiamano “traditore” il generale proprio oggi risponde: “Parlare coi cinesi fa parte dei miei compiti”).

Ora la Commissione parlamentare incaricata di indagare proprio sui fatti del 6 gennaio 2021, chiede chiarimenti in proposito: qual’ era lo stato mentale di Trump quando “ordinò” l’assalto?

Fase due: raffreddamento

Nello stesso periodo, soprattutto nell’ultima settimana a ridosso del raduno, molti gruppi dell’estrema destra e delle milizie armate che realmente organizzarono la rivolta del 6 gennaio, hanno ritrattato le proprie posizioni avvertendo i propri militanti di evitare a tutti i costi la manifestazione arrivando a sostenere addirittura che fosse una trappola.

L’ex Presidente Donald Trump, partecipando alla discussione e rilasciando una dichiarazione in supporto degli imputati, lo ha chiamato un “setup“, un teatrino organizzato, messo su a bella posta,

Ma sembra di ricordare che era stata l’intelligence a diffondere la notizia che milizie armate “storiche” come Proud Boys e Oath Keepers sarebbero intervenute.

I responsabili delle organizzazioni hanno infine declinato consigliando ai propri supporters di non partecipare assolutamente.

Le chat line dell’estrema destra, comprese quelle su Telegram, sono sembrate molto, troppo disciplinate, sebbene qualcuno come Ron Wakins, ex amministratore di “8chan” e, secondo voci di corridoio, dietro alle teorie complottiste del gruppo QAnon, sia arrivato ad ipotizzare che dietro il raduno ci fosse proprio l’FBI magari per poter schedare i partecipanti.

All’inizio della settimana scorsa persino Roger Stone, agente operativo di lungo corso del GOP, ha consigliato a tutti i Trumpiani di fede storica di “stare alla larga dalla manifestazione”. “E’ solo una sceneggiata, non conosco una singola persona nel movimento MAGA (2) che ha intenzione di parteciparvi” e ha dichiarato “patrioti, state alla larga da Washington!

Jared Holt, un ricercatore esperto di movimenti radicali per il Laboratorio digitale di ricerca forense dell’Atlantic Council (3) ha recentemente scritto sul suo sito che il raduno puzzava molto di “fregatura”: “Sono altamente scettico sulla possibilità che qualsiasi militante si muova senza una specifica indicazione condivisa sulle piattaforme utilizzate più frequentemente da questi gruppi”.

Le sue valutazioni sono state suffragate anche da un portavoce del Southern Poverty Law Center

*****

Grande è la confusione sotto al cielo” per citare il Grande Timoniere. “e quindi la situazione è eccellente”.

Ci si chiede perché tanto e tale riguardo per qualcosa che era prevedibile finisse in un flop; chi pesca nel torbido e chi intorbidisce le acque.

Soprattutto per chi la situazione è eccellente, quando si alimenta qualcosa che è sembrato essere una finzione.

Non dimentichiamo quali metodi infami “dovette” usare J. Edgar Hoover per riuscire a piegare in qualche modo il Black Panther Party. Il metodo che usa il Potere per dividere chi lo minaccia e per auto conservarsi.

Resta l’avvertimento lanciato dalla Polizia in forza a Capitol Hill e la decisione dell’amministrazione Biden di mobilitare anche risorse extra.

La preoccupazione a ben nove mesi dall’assalto del 6 gennaio è ancora nell’aria; tuttavia i movimenti Trumpiani non sembrano godere di ottima salute. L’invito è a vigilare mentre si avvicinano le elezioni di midterm.

1. Grand Old Party, il Partito Repubblicano

2. acronimo per Make America Great Again, il movimento dei “patrioti” seguaci dell’ex presidente Donald Trump

3. L’Atlantic Council è un think tank americano con sede a Washington, D.C. il cui scopo è “Promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell’affrontare le sfide del XXI secolo”

4. Il Southern Poverty Law Center (SPLC) è un’organizzazione legale americana senza fini di lucro, impegnata nella tutela dei diritti delle persone, riconosciuta a livello internazionale per i suoi programmi di educazione alla tolleranza e le sue vittorie legali contro gruppi razzisti e per l’impegno nell’individuazione dei gruppi d’odio, ovvero di quei gruppi che propagandano idee di odio razziale o religioso.

Disponibile on line a favore di tutte le lavoratrici, lavoratori, cittadini la diretta del convegno internazionale sull'importante tema della ricerca pubblica e profitti privati - Giovedì 23 settembre '21 - ore 16.30

Trieste - martedì, 21 settembre 2021

La Ricerca del Terzo millennio è il prodotto del successo delle politiche neoliberiste iniziate negli ultimi anni del secolo precedente e che stanno arrivando a realizzazione in questi tempi. Una Ricerca che si pone come primo obbiettivo il profitto e diventa unicamente strumento nelle mani del capitale nell’ambito della competizione globale.

Il Terzo millennio però si è presentato con un biglietto da visita come quello della pandemia, che insieme alla questione ambientale ci racconta di una condizione del pianeta che dovrebbe indurre gli Stati a correggere la direzione intrapresa che sembra inevitabilmente condurci verso un baratro.

Partire dalla pandemia è d’obbligo e anche estremamente efficace per raccontare la distanza che c’è tra la Ricerca del Capitale e la Ricerca Pubblica. Tra la Ricerca finalizzata al profitto e quella che ha come riferimento la committenza sociale e quindi guarda al progresso dei popoli.

L’impreparazione degli Stati ad affrontare un evento pandemico, nonostante questo fosse stato largamente previsto dalla comunità scientifica, in particolare dai virologi, e la successiva guerra commerciale sui vaccini, sono due eventi che rendono concreti gli effetti di politiche che hanno volutamente ridimensionato e marginalizzato la Ricerca Pubblica a favore di quella privata.

Affidare i vaccini alle multinazionali farmaceutiche, di fatto ha comportato gravi ritardi perché i brevetti hanno limitato la produzione e i vaccini sono costati due volte agli Stati, che prima hanno finanziato la Ricerca delle imprese e poi hanno dovuto acquistare i vaccini.

Questo è un esempio molto pratico, ma la questione è concettuale nella misura in cui non sono in discussione solamente le ricadute pratiche e le scelte politiche da cui sono conseguite, ma il concetto stesso di sviluppo del quale la Ricerca rappresenta il motore principale.

Se per sviluppo si intende il PIL dei Paesi, allora inevitabilmente il motore sarà quella Ricerca che guarda esclusivamente al profitto e non tiene conto, in alcun modo, della sostenibilità sociale ed ecologica che invece determina il modello nel quale i popoli vivono e con quale qualità.

Se invece parliamo di sviluppo in termini sociali, culturali, sanitari, ambientali, allora guardiamo ad uno sviluppo sostenibile che mette al centro i popoli e la qualità della vita. Quello che una volta veniva definito progresso.

In questo senso la Ricerca diventa paradigma del modello di sviluppo e rimane stretta dentro la contraddizione, tutta interna al capitalismo, tra sviluppo sostenibile e profitto/competizione globale.

Dicevamo che la questione è concettuale, ma, come dovrebbe essere in qualche modo già emerso, non è puramente teorica. Infatti, a questo punto la domanda è “Qual è la Ricerca che serve ai popoli e qual è quella che serve al profitto?”

La risposta potrebbe apparire scontata e facile. Talmente evidente la differenza tra bisogni materiali ed immateriali collettivi e quelli individuali. Ma per un lungo tempo, certamente dalla fine della guerra fredda e dalla caduta del muro, l’informazione ha costruito con sapiente illusionismo la sovrapposizione tra le due risposte. Con il risultato che sempre più spesso la Ricerca che mira al profitto è stata spacciata per progresso dei popoli.

Un innumerevole numero di scoperte è stato veicolato, in questo periodo verso i brevetti, imprigionando risorse e saperi collettivi nella proprietà di pochi. Ricerca medico biologica, Ricerca dei materiali, delle fonti rinnovabili, solo per fare degli esempi. Ma anche i beni immateriali come, per esempio, le comunicazioni hanno visto definire un’architettura di possesso delle idee che partiva già con il bias che deriva dalla ricerca militare e quindi circoscritta in un ambito estremamente limitato. Eppure, l’accesso ai nuovi mezzi, ai social ha fatto dimenticare che cose naturali come le onde elettromagnetiche sono divenuti proprietà individuale.

Per questo l’obbiettivo del nostro contro-vertice è di inquadrare il dibattito sulla Ricerca nella giusta dimensione, anche economica e sociale, che riveste e individuare i terreni sui quali articolare lo scontro per restituire ai popoli uno strumento di miglioramento della loro qualità della vita. Sicuramente dobbiamo discutere di come vincolare i finanziamenti pubblici ad una Ricerca pubblica, rimettere in discussione i brevetti e l’idea che ci si possa appropriare di qualcosa che esiste in natura, ragionare su quali necessità sociali ha oggi la comunità globale e non solo i paesi cosiddetti avanzati mondo. Non demonizzando la Ricerca perché proprietà di pochi ma riconquistandola alla collettività

Giovedì 23 settembre, ore 16,30

Convegno internazionale

RICERCA PUBBLICA PROFITTI PRIVATI

Il convegno sarà trasmesso in diretta sui canali web e social di USB.

USB - FSM

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