Molti eventi stanno modificando gli equilibri imposti nel continente dall’affermazione negli anni scorsi di governi democratici e popolari a partire da quello chavista del Venezuela.
Gli Stati Uniti e le borghesie nazionali sfruttando le difficoltà economiche che scuotono quei paesi a causa della crisi internazionale stanno tentando non solo di ribaltare le prospettive di cambiamento attraverso momenti elettorali, come avvenuto in Argentina, ma stanno realizzando dei veri e propri golpe cercando di ripristinare il controllo dell’imperialismo nord americano su quella parte del continente.
Contro Dilma Rousseff si è scatenato un vero Golpe Bianco parlamentare-giudiziario attraverso una guerra mediatica il cui obiettivo era screditare a livello nazionale e internazionale la presidente e il suo Governo. Il tridente usato contro il Brasile è chiaro: guerra massmediatica e guerra psicologica per l’accettazione in forma apparentemente democratica di una guerra economica voluta dall’oligarchia, per applicare gli ordini degli imperialismi di ritorno alla cosiddetta “normalità”. Ma da sempre l’imperialismo e il capitalismo non hanno avuto alcun interesse per la democrazia considerata solo “una convenienza di percorso”.
L’impeachment della Presidente Dilma Roussef è un vero e proprio Golpe attraverso una resa dei conti lanciata dalla borghesia legata agli interessi industriali e commerciali statunitensi e alla stessa strategia geopolitica dell’imperialismo USA; il fine reale è demolire qualsiasi forma di protezionismo commerciale voluto dai governi guidati dal PT, il loro fondamentale apporto ai processi di integrazione latino americana più a carattere antimperialista (come ALBA, CELAC e UNASUR) e portando allo stesso tempo un duro attacco all’area dei BRICS che in questi ultimi anni hanno sviluppato politiche economiche nazionali e internazionali e politiche commerciali che hanno svantaggiato le multinazionali statunitensi.
La stessa aggressione si intravvede nelle vicende venezuelane. Fin dall’inizio della rivoluzione bolivariana e ancora più in questi ultimi tre anni l’imperialismo statunitense cerca in tutti i modi di destabilizzare il governo di Nicolas Maduro. Assistiamo a uno scontro tremendo, in cui la resistenza politica del PSUV, del PCV e la difesa della sovranità nazionale da parte del movimento chavista sono stati gli elementi che, oggi, caratterizzano la continuità del governo rivoluzionario e la direzione politica del Presidente.
Il governo Maduro è stato sottoposto agli attacchi di diverse sfere, più di quanto non fosse successo durante il governo del comandante Chávez; il che rappresenta un termine di comparazione estremo, tenendo conto di tutte le armi della “guerra di quarta generazione” con le quali i venezuelani sono stati affrontati dal 1998, dalle diverse tecniche di guerra psicologica fino ai colpi di Stato di stampo mediatico e lo sciopero-sabotaggio petrolifero diretto dalla stessa compagnia energetica statale. Si stava finanche offuscando la presenza dello Stato venezuelano sulla linea di confine con la Colombia, e certo nessun paese può permettersi una perdita di sovranità politica ed economica nel proprio territorio. Il calcolo delle perdite subite dal Venezuela a causa del contrabbando di benzina e di beni di prima necessità è ingente, oltre ai danni causati dalla presenza di elementi di carattere paramilitare che controllavano tali attività.
Di segno diverso sono gli sviluppi in Colombia dove è stato firmato un accordo di pace dopo cinquant’anni di guerriglia delle FARC. Anche la firma dell’ ”Accordo finale per la chiusura del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura in Colombia” avvenuta a Cuba tra la guerriglia e il governo colombiano, pur segnando un passo storico favorito dai governi rivoluzionari cubano e del Venezuela, dovrà non solo essere ratificato da un plebiscito popolare in ottobre, ma auspichiamo che tutti i diritti basilari e fondamentali previsti dall’Accordo siano determinati da un cessate il fuoco bilaterale definitivo.
Garanzia dei diritti politici e sociali, liberazione degli oltre 10.000 prigionieri politici con una amnistia, inclusione di tutti i contadini nello sviluppo eco-socio-compatibile attraverso una riforma rurale integrale, la partecipazione politica dei compagni della guerriglia alla vita democratica del Paese con il reinserimento in ogni forma di vita civile e con una conseguente smobilitazione delle forze rivoluzionarie sul terreno dello scontro diretto sono tutti obiettivi giusti ma ancora tutti da perseguire. Ciò può essere garantito solo da imponenti mobilitazioni del movimento dei lavoratori e dei movimenti popolari a livello nazionale e con forte solidarietà internazionalista per imporre un accordo anche per la guerriglia del’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale).
Il quadro continentale è oggi in estremo movimento politico e sociale, anche quest’ultimo evento dimostra come si stia modificando la situazione e quanto si rischia con il ritrovato ruolo degli USA poiché fino ad oggi gli accordi di disarmo delle guerriglie hanno spesso preluso ad offensive reazionarie e repressive contro i movimenti popolari proprio su indicazione e sostegno dei governi Nord Americani. Un altro quadrante del pianeta si avvia verso una fase di instabilità politica e militare e di scontro di classe feroce in coerenza con quello che accade nel resto del mondo, dal Medio Oriente, all’Europa dell’est con l’Ucraina, all’Africa ed anche nell’Estremo Oriente con il tentativo di contenere la crescita della Cina.
Questi sono gli effetti di una crisi sistemica che dal 2007 colpisce lo sviluppo capitalista ed i paesi imperialisti che, per ritrovare il controllo politico e la crescita economica, sono costretti ad aprire nuovi fronti di conflitto e di guerra mentre continuano le proprie “guerre” interne contro le classi subalterne. Gli eventi dell’America Latina hanno un significato particolare perchè riguardano governi e paesi che da quindici anni tentano di sganciarsi dal controllo imperialista per costruire una maggiore eguaglianza sociale e per affermare i diritti dei popoli. La reazione USA è la riproposizione delle tradizionali politiche golpiste statunitensi nell’area, per ora praticate sotto altre forme. Ma non è detto che possano far tornare la situazione agli anni ’80, potrebbero invece innestare un conflitto sociale ancora più aspro che ci deve vedere pronti alla mobilitazione in solidarietà di quello che è stato definito il “Socialismo del XXI secolo”.
Rete dei Comunisti, 3 settembre 2016