Bruxelles – 9/2/L’ambasciatrice di Cuba, Norma Goicochea, ha esposto nel Forum Unione Europea-America Latina, organizzato nel Parlamento Europeo, i passi avanti nel processo d’integrazione della donna nella società cubana.

La diplomatica cubana ha apportato informazioni sulla partecipazione delle donne nella vita politica, economica e sociale del paese, che dimostrano la condivisione di potere come risultato delle politiche applicate dalla Rivoluzione, ha informato Prensa Latina.

“Il 48,86 per cento del Parlamento dell’Isola è formato da donne e questo pone Cuba come secondo paese dell’emisfero americano con la maggior rappresentazione femminile nel legislativo, superata solo dalla Bolivia, come il quarto paese a livello mondiale”, ha sottolineato.

La presentazione della diplomatica è stata seguita con grande interesse dalle partecipanti che hanno espresso in diverse occasioni ammirazione per le conquiste indiscutibili dell’Isola nell’impegno di dare alle donne il posto che si sono guadagnate per diritto proprio nella società cubana.

Nell’incontro si è parlato del potere economico delle donne nelle due regioni. Il Forum e stato presieduto  dall’eurodeputata Elisabetta Gardini e da Myriam Suazo, presidentesse delle componenti europea e latinoamericana, rispettivamente.

Hanno partecipato anche Ramón Jáuregui, presidente della delegazione Eurolat del Parlamento altri membri dell’organo legislativo con rappresentanti dei paesi d’ Europa e dell’America Latina, ha precisato una nota diffusa dall’ ambasciata dell’Isola in Belgio. ( Traduzione GM – Granma Int.)

Il Gruppo delle Industrie Biotecnologiche e Farmaceutiche, BioCubaFarma, è stato creato il 7 dicembre del 2012 ed è formato da 32 imprese e 78 installazioni produttive. Con nuove linee d’articolazione, il Gruppo delle Industrie Biotecnologica e Farmaceutica, BioCubaFarma, propone il miglior scenario per possibili affari relazionati con prestazioni mediche che contribuiscano in modo multidisciplinare allo sviluppo dell’economia cubana.Beni e servizi sono il più importante potenziale esportabile di Cuba, con l’avallo della reputazione della sua assistenza sanitaria in accordo con schemi di finanziamento presenti in 60 nazioni e tre decenni di risultati scientifici, produttivi e investigativi nel trattamento delle malattie croniche.

Ogni volta più integrali, con un alto valore aggiunto e destinate alla differenziazione e alla crescita costante, queste esportazioni promettono una trasformazione positiva dei sistemi di salute e per la qualità di vita dei paesi riceventi, mediante sette programmi. Come ha spiegato la responsabile della Politica Commerciale, gli Affari e la Collaborazione Internazionale di BioCubaFarma, Mayda Mauri Pérez, l’Attenzione integrale al paziente diabetico, la diagnosi e la riabilitazione nelle malattie cardiovascolari e la prevenzione, la ricerca e il trattamento del cancro appaiono tra le priorità più richieste.

Altri progetti includono la ricerca, l’analisi e l’intervento negli handicaps dell’udito, la scoperta precoce di problemi di neurosviluppo infantile, lo studio prenatale e neonatale ampliato e la vigilanza epidemiologica.

Mediante strategie proprie, tecnologie e assistenza per la prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento opportuno, dalle malattie pre-concepimento a quelle della terza età, le iniziative cubane guadagnano prestigio nazionale e mondiale.

“Attualmente, ha aggiunto la dirigente Mayda Mauri, “BioCubaFarma è formata da 32 imprese, 78 installazioni di produzione e circa 22.000 lavoratori, e fabbrica otto vaccini e 578 degli 857 medicinali che formano il quadro cubano di base.

I materiali biotecnologici (che riguardano l’industria) si combinano con servizi, attributi e le piattaforme tecnologiche, maneggiate da un capitale umano altamente competente che raggruppa 6325 universitari, 262 dottori, 1170 master in Scienze, 1300 tecnici,e 719 investigatori”, ha puntualizzato. Vincolando, tra gli altri, il Centro d’Ingegneria Genetica e Biotecnologia, il Centro d’Immunologia Molecolare, il Centro di Neuroscienze di Cuba e il Centro di Prove Immunologiche, il gruppo creato il 7 dicembre del 2012 rende possibile anche l’esportazione del know how, nella prevenzione, per esempio, dell’epatite B, del VIH e della meningite meningococcica. L’efficacia dei programmi si appoggia inoltre su prodotti leaders, come la Eritropoyetina Umana Ricombinante o il Heberprot-P (più di 100.000 pazienti diabetici sono trattati in 20 nazioni con il 78 % di efficacia per amputazioni evitate); biosimilari o innovatori per il cancro avanzato e vaccini terapeutici per i tumori della testa, del collo e del polmone (Nimotuzumab, Cimavax EGF e Racotumomab). “Le investigazioni,ha assicurato la specialista Mayda Mauri, sono dirette a 33 malattie infettive a 33 patologie oncologiche, 18 cardiovascolari e 7 nel diabete, tra i vari mali. Si contano anche una trentina di studi in venti paesi, 182 oggetti d’invenzione e 2300 richieste di registrazioni,1816 concesse in suolo straniero, con 893 registrazioni sanitarie. Secondo Mayda Mauri, risaltano tra i modelli degli affari la creazione di cinque imprese miste all’estero e i contratti dei servizi di manifattura e di trasferimento tecnologico in Brasile, Venezuela, Sudafrica, India, Vietnam e Algeria. La futura presenza nella Zona di Sviluppo Mariel è molto attraente per BioCubaFarma per il regime speciale tributario che facilita qualsiasi documentazione e gestione.

BioCubaFarma appartiene interamente allo Stato cubano e, basata nel talento nazionale e con la salute del popolo come prima missione, si nutre di positivi indici sanitari ottenuti nell’ultimo mezzo secolo.

La strategia del ciclo chiuso: le attività d’investigazione, sviluppo, produzione e commercio nella stessa istituzione, le permettono d’essere auto sostenibile e unire la scienza all’economia, con un impatto nella sfera agricola e dell’allevamento.

Inoltre vi regnano la collaborazione interna tra le imprese, il lavoro con le università cubane, i centri specializzati e le altre entità straniere.

Prevedendo d’assicurare la complementarità dei programmi di salute, l’alleanza formata con l’impresa Commerciante dei Servizi Medici di Cuba e il Gruppo di Imprese Labiofam, è stata decisamente prioritaria.

Per i pazienti di altri paesi del mondo che decidono di farsi curare in Cuba, è un privilegio ricevere un’assistenza che garantisce indici di vita paragonabili a quelli dei paesi del detto primo mondo. Il dottor Eduardo Martínez Díaz, primo vice presidente, ha informato Granma Internacional che dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti, non poche imprese nordamericane del settore bio-farmaceutico hanno visitato BioCubaFarma con l’obiettivo d’identificare aree di lavoro nelle due direzioni.

“Sono molte le compagnie statunitensi interessate ad introdurre i loro prodotti nel mercato cubano. Anche per Cuba è molto interessante, perchè sono molte le vite umane che si perdono nel nostro paese perché non possiamo accedere a medicinali e trattamenti esclusivi degli Stati Uniti”, ha affermato.

La popolazione cubana non è la sola danneggiata dal brutale blocco economico, commerciale e finanziario imposto dal governo di Washington. I nuovi prodotti che appartengono a BioCubaFarma e alle sue imprese, possono salvare molte vite di statunitensi. Per citare un esempio, negli Stati Uniti a più di 70.000 pazienti vengono amputate le gambe ogni anno, mentre Cuba conta sul Heberprot-P, prodotto unico a livello mondiale con il brevetto registrato in questo paese.

Il vicepresidente ha concluso che: “La comunità scientifica cubana e in particolare i lavoratori di BioCubaFarma desiderano che si rispetti il diritto alla vita, sia per i pazienti cubani che per i nordamericani, ed è nostro desiderio eliminare al più presto il blocco, la forma migliore per rendere reale il ristabilimento delle relazioni diplomatiche. (Traduzione GM – Granma Int.)

Cuba ha resistito sempre con determinazione rivoluzionaria e con grande dignità all’aggressione del potente vicino, e inoltre soprattutto ha contribuito, in questi ultimi 57 anni , e ha insegnato a milioni di lavoratori in America Latina e nel resto del mondo, senza armi e solo con la forza del suo esempio, il valore della libertà, della solidarietà, dell’autodeterminazione, della democrazia e della giustizia sociale.

 La rivoluzione socialista di Cuba non solo resiste da 57 anni, nonostante sia obbligata a subire un blocco infame che il governo degli Stati Uniti gli impone per attaccare il diritto inviolabile all’autodeterminazione, ma guarda con lungimiranza al futuro e affronta la sfida dell’attualizzazione teorica e pratica dei processi del socialismo rivoluzionario, offrendo il suo esempio ai popoli e ai governi rivoluzionari dell’alleanza dell’ALBA, ed anche a tutte le democrazie partecipative e progressiste dell’America Latina e del mondo.

 La crisi sistemica del capitalismo pone seri problemi alle potenze imperialiste degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che si mostrano sempre più aggressivi per conservare il loro dominio internazionale, portando l’intera umanità sempre più nel contesto della guerra economica e militare con la minaccia nucleare e della catastrofe ambientale. In una situazione di crisi sistemica gli scenari di guerra aumentano in tutte le loro forme incluse la sociale, mediatica e finanziaria.

 La politica però, in questa fase di competizione globale deve essere pensata e realizzata a lungo termine, si possono creare le condizioni di prospettiva di una possibilità di aprire una fase storica di nuove relazioni internazionali.  In questo contesto sono sempre più importanti il ruolo e le capacità di dinamici movimenti di classe e di alcuni  partiti politici che lottano grazie all’esperienza della Rivoluzione socialista cubana.

 La Rete dei Comunisti esprime grande appoggio politico alla nuova fase di relazioni Cuba-USA e sappiamo bene che questa è una grande vittoria della Rivoluzione Socialista, del popolo e del Governo cubano. Il fatto che al centro dell’agenda politica internazionale ci sia la fine del blocco contro Cuba all’interno della lotta fondamentale per l’autodeterminazione di popoli  per la libertà e il socialismo, è stato il frutto di una incessante traiettoria rivoluzionaria contro l’imperialismo del popolo e del Governo di Cuba e di tutto il movimento di solidarietà internazionale.

 Vogliamo confermare nuovamente e come sempre la piena solidarietà internazionale al Governo rivoluzionario, in questa occasione che rappresenta un importante momento strategico e di fase alla quale tutti guardiamo con grande interesse  e con rinnovata stima per l’intelligenza politica del Partito Comunista e del popolo di Cuba nel saper rafforzare la Rivoluzione e attualizzare e perfezionare il sistema di gestione e la pianificazione economica in una nuova fase della transizione socialista.

 Nell’attuale crisi sistemica del capitale nei popoli di molti paesi si fa sempre più profonda la convinzione dell’’importanza che rappresenta l’esperienza dei combattenti socialisti cubani , che sono esempio e modello di sacrificio per tutti quei rivoluzionari nel mondo che hanno l’obiettivo di rilanciare l’iniziativa all’interno del movimento di classe e comunista internazionale.

 Si accentuerà nell’immediato futuro sempre più in Europa, negli Stati Uniti e in tutto il mondo a capitalismo maturo e non solo, la crisi globale e la storia ci insegna disgraziatamente che le crisi strutturali e sistemiche si sono risolte con guerre mondiali. Per questo nell’attuale momento storico la parola sulla trasformazione anticapitalista è dei lavoratori nel movimento internazionalista di classe, rappresentato oggi al massimo livello dalla Federazione Sindacale Mondiale.

 Il contributo di Cuba al movimento operaio mondiale è esemplare, e nel percorso di questo cammino storico, rivoluzionario sempre più è necessaria la voce chiara che proviene dal lungo processo socialista cubano, che continua ad insegnare che si può resistere all’imperialismo contribuire al processo di resistenza internazionale, e allo stesso tempo costruire una propria via di transizione al socialismo.

 La Rete dei Comunisti ritiene fondamentale l’urgente necessità politica di trasformare la crisi dell’Unione Europea in una possibilità per i lavoratori di creare condizioni di lotta e di speranza politica per un processo di trasformazione radicale anticapitalista, per l’uscita dell’Unione Europea e la costruzione dell’ALBA Mediterranea, in una dinamica di lotta e in un cambiamento radicale delle relazioni di classe che devono essere assolutamente a favore del mondo del lavoro, per creare con una determinazione internazionalista il cammino della costruzione del Socialismo.

 Se noi comunisti, i rivoluzionari, gli anticapitalisti pensiamo concretamente al futuro di una Europa autodeterminata dei popoli, si tratta di rinforzare i processi di lotta di classe che pongono come centrale il tema politico dell’anticapitalismo e dell’antimperialismo. Con l’esempio della Rivoluzione di Cuba e dei paesi dell’ALBA, possiamo operare per bloccare il liberismo, il capitalismo e i danni che questo sistema sta producendo su scala europea e mondiale.

 La Rete dei Comunisti continuerà sempre nella lotta in  difesa della Rivoluzione cubana, contro le guerre imperialiste, per la libertà di tutti i prigionieri politici e detenuti nelle carceri degli   Stati imperialisti, per l’autodeterminazione di tutti i popoli; e per questo sempre con la Rivoluzione di Cuba socialista affinché gli Stati Uniti porgano fine immediatamente al’infame blocco che di fatto dimostra di non aver conseguito nulla di utile o rilevante creando solo problemi e drammi.

 Difenderemo sempre il processo rivoluzionario socialista autodeterminato di Cuba che nonostante il blocco sempre più restrittivo e la crisi internazionale, sta realizzando una resistenza eroica  punto di riferimento storico e centrale delle lotte di popoli in difesa dell’umanità; una resistenza e una difesa della rivoluzione socialista alla quale partecipano  insieme  in maniera indivisibile il popolo e il Governo di Cuba diretti da un forte e dinamico Partito Comunista.

 ¡ SOCIALISMO O MUERTE, VENCEREMOS !!

 ¡LA VICTORIA ES INEVITABILE!!!

2 gennaio 2016 ,Rete dei Comunisti Segreteria Nazionale

Per comprendere il significato e la portata dell’accordo recente tra le FARC-EP ed il governo colombiano, occorre ricapitolare succintamente i fattori principali che hanno fatto sì che i Dialoghi dell’Avana si mettessero in moto.

 In primo luogo, la verificata impossibilità delle forze imperialiste e degli apparati repressivi e di guerra del regime colombiano di schiacciare militarmente la resistenza guerrigliera, con l’implicito riconoscimento del fallimento del Plan Colombia/Plan Patriota e l'insostenibilità del mantenimento, a medio termine, di una spesa militare che negli ultimi anni ha raggiunto addirittura il 6% del PIL.

 In seconda istanza, l’accumulato degli ultimi 15 anni in America Latina, dove diversi processi, alcuni di carattere marcatamente antimperialista ed altri democratico-progressisti, hanno oggettivamente scardinato l’egemonia pressoché assoluta di Washington nel continente, cristallizzandosi in organizzazioni quali l’ALBA, UNASUR e CELAC; processo a cui contribuisce, in questa fase, una maggior presenza, soprattutto economica, di grandi potenze quali Russia e Cina.

 In terzo luogo, e conseguentemente a quanto appena detto, la crescente necessità da parte degli USA di combinare bastone e carota in America Latina (esempi lampanti Venezuela e Cuba rispettivamente), anche alla luce della riconfigurazione permanente dei rapporti di forza su scala planetaria che vedono Washington impossibilitato a gestire, incontrastato, diversi teatri operativi o scenari di guerra simultaneamente.

 Infine, bisogna considerare che negli ultimi anni il movimento popolare colombiano, uscito con le ossa rotte dalla tenebrosa fase degli anni ’90 e del primo decennio del nuovo secolo, con lo sterminio dell’Unión Patriótica prima e la decimazione dei sindacati e delle organizzazioni sociali poi, si è riarticolato, ricompattato ed è tornato a crescere, dando prova di forza e vigore soprattutto nelle grandi mobilitazioni contadine, indigene e studentesche dell’ultimo lustro. Rilancio delle lotte popolari che si palesa in modo direttamente proporzionale all’aggravarsi della crisi politica, economica e sociale di un regime che, dopo aver cercato inutilmente una autolegittimazione attraverso la guerra totale alla “minaccia narco-terrorista”, ora è costretto a ripulire la propria immagine con una narrazione di “pace”.

 Naturalmente, i dialoghi dell'Avana non sono il luogo in cui si può fare la rivoluzione, nessuno lo ha mai affermato e sarebbe folle pensarlo.

 Si tratta invece di un tentativo, sui cui esiti definitivi non è ancora lecito pronunciarsi, di entrare in una fase della lotta di classe che veda, mediante il superamento delle principali cause che hanno originato il conflitto armato, la possibilità di fare a meno dell'uso delle armi nell'esercizio della politica (da parte di tutti, tanto della guerriglia come dello Stato).

 Non è la prima volta che il conflitto colombiano può entrare in una fase di non belligeranza armata, e se alla lunga il processo dovesse fallire non sarà stata verosimilmente l'ultima.

 Sotto questa premessa, in estrema sintesi, le ragioni che rendono strategico il processo di pace sono le seguenti:

 

1) La stragrande maggioranza del popolo anela la pace e le forze che più si impegnano a costruirla ne avranno un grande riconoscimento; viceversa, se dovesse fallire, coloro che saranno riconosciuti come causa del fallimento non saranno perdonati dal popolo colombiano.

 

2) Il processo di pace apre spazi di agibilità politica e partecipazione per l'opposizione sociale, che il terrorismo di Stato e il paramilitarismo hanno mantenuto serrati per decenni. Si rafforza quindi il movimento popolare, il cui percorso di rilancio e consolidamento unitari potrebbe entrare in una fase qualitativamente superiore.

 

3) Il processo di pace ha aperto contraddizioni nel blocco politico oligarchico dominante e nelle forze armate del regime, che si approfondiscono e diversificano man mano che il processo avanza. Le forze della repressione si indeboliscono.

 

4) Il processo di pace permette di aprire varchi nella coltre di menzogne e propaganda di guerra che è stata minuziosamente e scientificamente stesa per decenni intorno alla natura della resistenza guerrigliera, ai suoi caratteri ed al contesto in cui si è generato e sviluppato il conflitto sociale e armato; facilita la ricerca della verità ed allarga la consapevolezza di essa tanto sul piano nazionale quanto a livello internazionale. Permette inoltre di svelare e riconoscere il fenomeno del paramilitarismo di Stato per quanto concerne la sua origine, i suoi reali propositi, i suoi mandanti e la sua portata.

 

5) Il processo di pace getta le basi per risolvere la situazione degli oltre 10.000 prigionieri politici, combattenti e non, inclusi coloro che sono detenuti in carceri USA. La guerriglia ha chiarito che non ci può essere la firma di alcun trattato di pace senza la presenza fisica del proprio delegato plenipotenziario Simón Trinidad.

 

6) I dialoghi dell'Avana hanno messo in moto una dinamica che, anche se indirettamente, mette pressione al governo Santos e moltiplica le voci e i pronunciamenti favorevoli ad una apertura ufficiale di un processo di pace con la guerriglia dell'ELN, con cui i colloqui si sono protratti sino ad ora su un piano esplorativo ed interlocutorio.

 

7) In questi tre anni di processo, il mondo intero ha potuto vedere, sentire, palpare e cogliere il carattere eminentemente politico di una guerriglia che, soprattutto dopo il 11 settembre 2001 e la rottura dei dialoghi del Caguán (inizio 2002), era stata sottoposta non solo alla più grande offensiva militare controinsorgente della storia contemporanea dell’America Latina, ma anche a una pesantissima campagna di diffamazione, demonizzazione e disinformazione strategica, tesa a dipingerla come “narco-terrorista”.

 

8) Come sottolineato in tempi non sospetti dall’intellettuale statunitense James Petras, questi dialoghi FARC-governo sono caratterizzati da una differenza sostanziale rispetto ad altri processi di soluzione politica di conflitti, come quelli curdo (con lo Stato turco), basco (con Spagna e Francia), e, a ritroso, quelli centroamericani (Salvador e Guatemala), quello sudafricano e quello

irlandese: la presenza ineludibile, nell’agenda comune così come nelle discussioni e trattative, di questioni di ordine strutturale, che afferiscono al modello economico in diversi suoi aspetti. Il concetto è chiaro: se soluzione politica sarà, con tanto di trattato di pace, non si sarà costruito il socialismo ma si saranno gettate nuove ed ulteriori basi per continuare a lottare per esso, con conquiste tangibili sul piano della giustizia sociale.

 

9) Da quando è iniziato il processo tutte le questioni fondamentali della vita nazionale colombiana, di carattere politico e non, sono passate e continuano a passare per l’Avana. Nonostante i conati di bile dell’uribismo, e i pruriti trionfalistici del governo Santos e delle sue figurine, il fatto che le FARC siano punto di riferimento ineludibile per pensare e realizzare le trasformazioni necessarie al superamento del conflitto, è un dato assodato e riconosciuto da tutti, in Colombia e nel mondo.

 

10) Tre anni di dialoghi, in cui decine di comandanti e guerriglieri e guerrigliere hanno acquisito ulteriori esperienze non solo sul piano politico e diplomatico, ma anche in altri campi, come quello della comunicazione, rappresentano una scuola formidabile: sono fioriti blogs e nuove pagine web insorgenti, si sono moltiplicate le presenze nei diversi social network, e giovani combattenti hanno potuto formarsi per creare quello che potrebbe essere l’embrione di una futura televisione fariana (Noticiero Insurgente, Mesa Redonda, ecc.). Inoltre, la possibilità di concentrare un numero significativo di membri dello Stato Maggiore Centrale e del Segretariato delle FARC, così come di diversi comandanti di Fronti e Blocchi guerriglieri, in un luogo sicuro e dotato di quelle caratteristiche idonee a sviluppare il lavoro politico, il dibattito teorico e l’interscambio diretto di idee ed esperienze (cosa spesso difficile in Colombia per via dell’intensità della guerra e delle conseguenti misure di sicurezza di necessaria adozione), sta consentendo all’organizzazione guerrigliera di preparare al meglio quella che sarà, in data a noi sconosciuta, la X Conferenza Nazionale (una sorta di Congresso, nonché il momento e l’istanza più importanti in assoluto nelle FARC).

 

Le precedenti considerazioni possono tornare utili anche a coloro i quali (a dir la verità un’infima minoranza), in Italia come nel mondo, criticano il processo di pace “da sinistra”. Infatti, il non riconoscere l'importanza dei dialoghi significa assumere una visione statica della storia. Osteggiarli massimalisticamente equivale a ritenere che le armi siano un fine e non un mezzo, come se non esistessero - o non potessero esistere per principio - fasi storiche nelle quali il loro impiego non solo non sia necessario, ma addirittura controproducente. Che ci si trovi o meno di fronte a una di queste situazioni non dipende dal fatto, come qualcuno che non menzioneremo ha suggerito, che lo scenario del conflitto sia un paese cosiddetto di “nuova colonizzazione”, ma dipende dal fatto che la “nuova colonizzazione” si è infranta nella sua componente militare e che la Colombia si trova in un continente che ha saputo, al contrario, ridurre la propria dipendenza da Washington. Inoltre, il fatto che si apra o no una fase nuova dipende anche dall'esito più o meno favorevole del processo di pace stesso, e la sua valutazione spetta ai combattenti colombiani, che sicuramente hanno più elementi di quelli che può avere un qualsiasi altro osservatore.

 

Disconoscere l'importanza strategica della soluzione politica equivale ad assumere una visione non marxista e non leninista della lotta di classe, laddove considerazioni di carattere generale (e spesso astratto) sostituiscono l'analisi concreta della situazione concreta, con tutte le sue specificità e sfaccettature.

 

Le armi così come sono comparse possono scomparire, se si apre una situazione nuova. In nessun caso si parla di consegna delle stesse.

Paragonare il processo di pace dell'Avana a situazioni sgangherate come quella guatemalteca significa non conoscerlo e non sapere da dove viene l’esercito guerrigliero di Manuel Marulanda e dove è deciso ad arrivare.

 

La ricerca di una soluzione politica è sempre stata una bandiera dell'insorgenza, e non vi sono elementi che possano far pensare ad una rinuncia della guerriglia ai propri obiettivi politici, né tanto meno alla propria ideologia comunista e rivoluzionaria.

 

A questo punto ci addentriamo più nello specifico dell’accordo raggiunto lo scorso 23 settembre all’Avana, che, come abbiamo premesso, è una tappa (certamente fondamentale) del processo di pace e non può essere separato dal suo insieme.

 

Perché sono tanto risentiti gli ambienti oligarchici per questo accordo? Perché Santos appariva scuro in volto e preoccupato, mentre i guerriglieri, come riconosciuto persino dalla stampa di regime, erano carismatici e sorridenti?

 

Qualcuno, a “sinistra”, ha paventato che la stretta di mano tra il Comandante Timoleón Jiménez e Juan Manuel Santos sarebbe favorevole all'imperialismo e sfavorevole alle forze popolari. Si tratta, insistiamo, di una valutazione superficiale e che non tiene conto di una serie di fattori che compongono l’equazione, non ultimo quello dell’ormai innegabile riconoscimento delle FARC come forza belligerante, con tutto ciò che implica e significa.

 

Concretamente, le ragioni per le quali quello firmato è un accordo molto importante, e che senza dubbio rappresenta un avanzamento rilevante, sono principalmente tre:

 

1) Ogni funzione investigativa e giudicante relativa al conflitto, che era appannaggio dello Stato, passerà ad essere di esclusiva competenza del nuovo tribunale, conformato da giuristi qualificati e non compromessi in carriere repressive (requisito per essere selezionati), colombiani e internazionali, scelti da un comitato ad hoc nominato a sua volta di comune accordo tra le parti.

 

Si acclara pertanto che lo Stato non può essere sia parte della guerra che giudice dei fatti che la riguardano. Si riconosce implicitamente che gli organismi inquirenti dello Stato sono parte in causa e hanno svolto una funzione di sostegno, in chiave repressiva, della politica guerrafondaia e antipopolare: risultano pertanto non idonei all'esercizio di una giustizia veritiera.

 

2) Il tribunale giudicherà fatti specifici, soprattutto riguardanti le violazioni del Diritto Internazionale Umanitario e i crimini di lesa umanità commessi da chiunque, soggetti statali e non, armati e non, compresi ex presidenti. Nessuno è esente dalle indagini: né finanziatori, né promotori, né beneficiari della guerra.

 

Saranno coperti da amnistia tutti gli atti legati al cosiddetto “delitto politico” (come per esempio la ribellione e ciò che ad essa afferisce), che in nessun modo potranno essere sottoposti a indagine e giudizio.

 

Viene dunque riaffermato il principio secondo il quale non si processa il diritto universale dei popoli alla ribellione.

 

3) Le vittime del conflitto ed i loro familiari, che sono milioni, comprese migliaia di esiliati perseguitati dal terrorismo di Stato, avranno con la Giurisdizione per la Pace la possibilità di veder fatta luce sulle circa 2.000 fosse comuni, sui mandanti degli innumerevoli massacri e sui patrocinatori e finanziatori del paramilitarismo; si tratta pertanto di uno strumento poderoso per contrastare la pluridecennale blindatura di regime finalizzata ad assicurare e perpetuare un’impunità pressoché totale. Ma si tratta anche di un meccanismo che contemplerà diverse modalità di risarcimento nei confronti delle vittime stesse e/o delle loro famiglie, e di garanzie affinché il principio della non ripetizione dei crimini sia rispettato da tutti.

 

Ciò detto, il percorso verso la firma di un Trattato di Pace definitivo non è cosparso di petali di rose e non è privo di ostacoli. Consentiteci di menzionarne alcuni:

 

Le cosiddette “salvedades”, ossia quei temi - contenuti nei punti dell’Agenda comune - sui quali le parti belligeranti non hanno trovato ancora un consenso. Da qui il fatto che, soprattutto in merito alla questione rurale ed agraria ma anche al punto sulla partecipazione politica, FARC e governo abbiano siglato soltanto accordi parziali. Le “salvedades” andranno tirate fuori dal congelatore ed affrontate in profondità quale passaggio previo ad un accordo finale e generale.

 

La questione delle armi della guerriglia: il governo e i media straparlano (illudendosi, o comunque mentendo sapendo di mentire) di consegna delle armi, quando invece anche l’Agenda comune sottoscritta dalle parti parla chiaramente di “dejación de armas”, e cioè la cessazione del loro uso in politica; cosa che, come le FARC hanno infinite volte ribadito, dev’essere fatta anche dallo Stato.

 

Il meccanismo di approvazione popolare di un eventuale Trattato di

Pace: il governo colombiano continua a parlare di referendum, magari da spendere in una congiuntura o scadenza elettorale in cui possa autopuntellarsi. Le FARC, invece, hanno da subito proposto un’Assemblea Nazionale Costituente che includa appieno gli esclusi di sempre (movimenti sociali, afrodiscendenti, indigeni, sindacali, ecc.), afferri e sciolga quei nodi eventualmente irrisolti nel processo dell’Avana, e, scrivendo una nuova Costituzione, rifondi il paese sulla base della volontà del Costituente Primario, che è il popolo.

 

La testardaggine del governo nel continuare ad agire in termini unilateralistici, promuovendo, in sede esecutiva e legislativa, misure e politiche riguardo questioni fondamentali che non solo non sono state affrontate e risolte al Tavolo dei dialoghi dell’Avana, ma che sono in pesante contraddizione con quanto accordato sin qui con le FARC. Testardaggine accompagnata da un’evidente mala fede, palesata anche dopo l’accordo del 23 settembre scorso nella misura in cui i portavoce di Santos hanno dichiarato che sarebbero state necessarie alcune revisioni di questioni che l’accordo stesso precisa e definisce in modo inequivocabile.

 

La Dottrina della Sicurezza Nazionale e la teoria del “nemico interno”, di matrice USA, che permeano le forze armate e di polizia dello Stato colombiano, e che hanno partorito sin dagli anni ’50 il paramilitarismo come politica contro-insorgente. Senza una netta sterzata, e senza lo smantellamento del paramilitarismo, una pace duratura sarà una chimera.

 In conclusione, per le forze popolari e rivoluzionarie colombiane la battaglia per la pace con giustizia sociale è un terreno strategico.

Un eventuale spostamento del conflitto dal piano armato a quello politico, non significherebbe in alcun modo l’erosione della lotta di classe, bensì un suo allargamento con la possibilità per le FARC, comunque tutta da costruire, di irrompere politicamente nei grandi nuclei urbani, storicamente più permeabili alla disinformazione dei media oligarchici e meno soggetti agli effetti della guerra. E’ lì, dove oltre il 70% della popolazione colombiana è concentrato, che si giocherà un pezzo decisivo della partita il cui risultato finale, siamo certi, sarà la Nuova Colombia, bolivariana e socialista.

 Associazione nazionale Nuova Colombia

 

Ottobre 2015

  <http://www.nuovacolombia.net/Joomla/documenti-analisi/6313-dialoghi-dellavana-ed-accordo-sulla-giurisdizione-di-pace-alcuni-strumenti-di-analisi-e-comprensione-.html>

 

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